mercoledì 9 maggio 2012

Il suicidio e l'auto in corsa

Il problema dei suicidi e così come è in generale il problema sulla riflessione sulla morte in quanto è l’unica esperienza della quale non esistono persone che possono riferire. Cioè mentre di qualunque altra esperienza dell’esistenza delle persone, per esempio la malattia, è possibile disporre di materiale di prima mano, riferita relativamente a quell’esperienza, della morte e quindi anche del suicidio, non è disponibile questo tipo di materiale. Chi parla della morte e del suicidio parla di esperienze altrui, a narrazione unica.
Detto questo parlando di suicidio non si debba generalizzare, non si può generalizzare, perché ci sono suicidi e suicidi. Per esempio, ci sono suicidi accidentali, ossia tramite assunzioni di sostanze stupefacenti, oppure tramite comportamenti estremi che non sono finalizzati al suicidio. Poi ci sono suicidi programmati e studiati nei minimi particolari, come l’eutanasia; pratica che va di moda in Svizzera. Una terza categoria è quella del suicidio dovuto ad un improvviso “raptus”. La quarta categoria è il suicidio derivante dal profondo malessere, dal profondo disturbo di depressione. Nel caso specifico dei suicidi che ci sono stati fino ad esso in Italia, al di la della narrazione che gli organi di stampa ne fanno, non sapremo mai quanto si tratta di un raptus o delle conseguenze della crisi economica. Di certo è anche un tentativo di fuga, da un male insopportabile, da un male oscuro con la necessità di uscirne compiendo l’estremo gesto.
Veniamo al punto. La società ha qualche responsabilità a tutti questi suicidi chi si stanno verificando oggi in Italia? E’ difficile negare che i contesti fanno la differenza, se dobbiamo usare la categoria di responsabilità, dobbiamo fare riferimento ad una rete ravvicinata al soggetto suicida. E’ evidente che esistono delle condizioni ambientali legate alla qualità delle relazioni in cui il soggetto è immerso. Un sistema di relazioni incapace di prendersi cura dei singoli è evidentemente un sistema che previene meno l’esito infausto del suicidio. La funzione della rete societaria in cui il soggetto ne fa parte, è una funzione ambivalente ma fondamentale. Ossia svolge una funzione si di controllo ma anche di sostegno. Questa considerazione ci consente di dire che le ricerche, con tutti i limiti che queste hanno, ci dicono che i suicidi sono più frequenti in quei territori, in quei paesi, in quelle culture nelle quali la rete societaria di sostegno: gli amici, i parenti e della società stessa è molto più debole, una rete a maglie larghe. Nei paesi nordici, nei paesi rigidi culturalmente, il caos è molto sotto controllo, imbrigliato in un sistema di controllo molto forte, che però non si fonda su una rete di relazioni, ma su un sistema di regole, di ruoli, un sistema molto ingiuntivo, un sistema con una rete a maglie molto fitte. Queste reti a maglie fitte, consentono un forte controllo sulle persone, ma anche un grandissimo sostegno. Tutto questo ci fa pensare che c’è una maggiore tolleranza dell’errore in questo tipo di cultura.
C’è un minor senso di colpa incombente in cui la società grava molto di meno nell’area dell’individuo, c’è una maggiore comprensione culturale nei confronti della trasgressione, dell’errore, della scorrettezza. Questo è evidente che diluisce il clima rendendolo più sensibile aumentando la qualità di appoggio che stanno intorno alle persone.
Nelle culture dove l’apparire è molto importante, sono esattamente le culture caotiche, al contrario nelle culture del nord Europa, Norvegia, Svezia ciò che conta sono le regole è quello che fa la differenza, la rigidità sui confini su chi sta dentro e chi sta fuori, su chi si mette contro e su chi si mette a favore. Confini dei ruoli, i confini delle regole, i confini del lecito e dell’illecito, nei paesi molto puliti, in territori molto puliti, nel senso letterale del termini nei quali si cammina e ci si rende conto che si vive in un posto molto controllato, dunque tendenzialmente il caos è tenuto sotto controllo. Non corrisponde però alla preferenza dell’apparire rispetto all’essere, che invece è tipica nelle culture che non tengono sotto controllo il caos, rispetto alle quali per emergere bisogna apparire.
Bauman affermava che viviamo già da tempo un epoca liquida, per dire che è un epoca in cui la struttura della società non ha più quella solidità necessaria che consentiva in qualche modo di arginare alcune deformazioni sociali. In realtà siamo da tempo in una società gassosa, siamo andati oltre la società liquida. In una società gassosa, ossia una società che perde i punti di riferimento i più deboli soccombono.
Un antropologo, Felice di Lerna, afferma che, usando la metafora dell’automobile in corsa, la caratteristica della post-modernità è l’accelerazione. Su tutta una serie di ambiti, compreso anche il mercato, i viaggi ed i trasporti il mondo fondamentalmente ha subito in quest’ultimi anni un accelerazione profonda. L’antropologo facendo riferimento a questo fenomeno dell’accelerazione utilizza questa metafora dell’auto in corsa dicendo una cosa molto semplice. Quando guidi un auto, se guidi a 60 kmh il conducende discute con i suoi passeggeri, se guidi a 90 kmh, pure avendo un rettilineo davanti, il conducende già comincia a parlare meno con i suoi passeggeri, magari ascolta ma comunque rimane concentrato sulla guida. Se guidi a 150 kmh automaticamente il conducende smetterà anche di prestare attenzione, perché sarà fortemente concentrato sulla guida perché deve governare l’auto, deve evitare che vada fuori strada. Inevitabilmente il conducende si isolerà dal resto dei passeggeri.
Questa metafora in sostanza mette insieme, la causa, ossia il fenomeno di partenza che è quello dell’accelerazione strutturale della società con la conseguenza immediata sulle reti più prossime alle persone, cioè il silenzio. Essenzialmente, dice Lerna, in questo tipo di società in questo momento, i più deboli soccombono perché perdono la rete societaria di riferimento. In questa società, verosimilmente la persona che si suicida che non ha il lavoro, non sapendo se si suicida per umiliazione, per mortificazione, perché veramente non riesce a portare il pane a casa. Se ci pensiamo è un paradosso, la persona che si suicida non potendo portare a casa il pane, fa un gesto paradossale; perché da quel momento le persone di cui si preoccupa non avranno più neanche lui a disposizione, anzi avranno un problema in più da gestire la morte, il lutto e l’assenza di questa persona.
Probabilmente in una società tradizionale più arcaica, questo non sarebbe successo in quanto i sistemi di presa in carico di contenimento, la lentezza di quella società avrebbe in qualche modo impedito il gesto estremo e lo avrebbe diluito in una serie di pratiche, di riti e di contenimento della disperazione. Contenimento della disperazione che oggi noi non abbiamo più a disposizione.
Quersto nostro paese ha tra le sue principali caratteristiche, i principali tratti distintivi sono l’ipocrisia e l’isteria. Ha una capacità di stupirsi di cose senza significato, di cose effimere superiore a qualunque altro popolo e continuerà sempre più a stupirsi. In realtà più che stupirsi bisognerebbe attrezzarsi, operando un inversione ad “U” dei paradigmi di sviluppo. La storia ufficiale di questo paese che ormai, anche dal punto di vista caricaturale, viene sintetizzata “ce lo chiede l’Europa”. Questo pensiero egemone e un pensiero folle, è l’esasperazione della metafora dell’auto in corsa, pensiamo al discorso del TAV, va esattamente su questa direzione. Lo sviluppo di un paese è determinato dal numero di ore in meno dei mezzi di trasporto metteranno per raggiungere un luogo. Se non si recupera una dimensione, anche di decrescita con tutti i limiti delle teorie più famose, un nuovo obiettivo dell’idea di sviluppo che non sia essenzialmente di tipo economico, legato alla ricchezza, è evidente che qualcuno che non riesce a stare dietro a questa accelerazione soccomberà. Esasperando la metafora dell’auto in corsa, chi si butta fuori dalla macchina non regge più, non solo il silenzio, ma non regge la velocità, mentre la macchina continuerà a correre. Il tempo per riflettere a tale causa sarà pochissimo, perché non si potrà distogliere lo sguardo dalla strada. Chi si fermerà per riflettere e per parlare gli verrà risposto che l’Europa che ce lo chiede.  

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