Il
problema dei suicidi e così come è in generale il problema sulla
riflessione sulla morte in quanto è l’unica esperienza della quale non
esistono persone che possono riferire. Cioè mentre di qualunque altra
esperienza dell’esistenza delle persone, per esempio la malattia, è
possibile disporre di materiale di prima mano, riferita relativamente a
quell’esperienza, della morte e quindi anche del suicidio, non è
disponibile questo tipo di materiale. Chi parla della morte e del
suicidio parla di esperienze altrui, a narrazione unica.
Detto
questo parlando di suicidio non si debba generalizzare, non si può
generalizzare, perché ci sono suicidi e suicidi. Per esempio, ci sono
suicidi accidentali, ossia tramite assunzioni di sostanze stupefacenti,
oppure tramite comportamenti estremi che non sono finalizzati al
suicidio. Poi ci sono suicidi programmati e studiati nei minimi
particolari, come l’eutanasia; pratica che va di moda in Svizzera. Una
terza categoria è quella del suicidio dovuto ad un improvviso “raptus”.
La quarta categoria è il suicidio derivante dal profondo malessere, dal
profondo disturbo di depressione. Nel caso specifico dei suicidi che ci
sono stati fino ad esso in Italia, al di la della narrazione che gli
organi di stampa ne fanno, non sapremo mai quanto si tratta di un raptus
o delle conseguenze della crisi economica. Di certo è anche un
tentativo di fuga, da un male insopportabile, da un male oscuro con la
necessità di uscirne compiendo l’estremo gesto.
Veniamo
al punto. La società ha qualche responsabilità a tutti questi suicidi
chi si stanno verificando oggi in Italia? E’ difficile negare che i
contesti fanno la differenza, se dobbiamo usare la categoria di
responsabilità, dobbiamo fare riferimento ad una rete ravvicinata al
soggetto suicida. E’ evidente che esistono delle condizioni ambientali
legate alla qualità delle relazioni in cui il soggetto è immerso. Un
sistema di relazioni incapace di prendersi cura dei singoli è
evidentemente un sistema che previene meno l’esito infausto del
suicidio. La funzione della rete societaria in cui il soggetto ne fa
parte, è una funzione ambivalente ma fondamentale. Ossia svolge una
funzione si di controllo ma anche di sostegno. Questa considerazione ci
consente di dire che le ricerche, con tutti i limiti che queste hanno,
ci dicono che i suicidi sono più frequenti in quei territori, in quei
paesi, in quelle culture nelle quali la rete societaria di sostegno: gli
amici, i parenti e della società stessa è molto più debole, una rete a
maglie larghe. Nei paesi nordici, nei paesi rigidi culturalmente, il
caos è molto sotto controllo, imbrigliato in un sistema di controllo
molto forte, che però non si fonda su una rete di relazioni, ma su un
sistema di regole, di ruoli, un sistema molto ingiuntivo, un sistema con
una rete a maglie molto fitte. Queste reti a maglie fitte, consentono
un forte controllo sulle persone, ma anche un grandissimo sostegno.
Tutto questo ci fa pensare che c’è una maggiore tolleranza dell’errore in questo tipo di cultura.
C’è
un minor senso di colpa incombente in cui la società grava molto di
meno nell’area dell’individuo, c’è una maggiore comprensione culturale
nei confronti della trasgressione, dell’errore, della scorrettezza.
Questo è evidente che diluisce il clima rendendolo più sensibile
aumentando la qualità di appoggio che stanno intorno alle persone.
Nelle
culture dove l’apparire è molto importante, sono esattamente le culture
caotiche, al contrario nelle culture del nord Europa, Norvegia, Svezia
ciò che conta sono le regole è quello che fa la differenza, la rigidità
sui confini su chi sta dentro e chi sta fuori, su chi si mette contro e
su chi si mette a favore. Confini dei ruoli, i confini delle regole, i
confini del lecito e dell’illecito, nei paesi molto puliti, in territori
molto puliti, nel senso letterale del termini nei quali si cammina e ci
si rende conto che si vive in un posto molto controllato, dunque
tendenzialmente il caos è tenuto sotto controllo. Non corrisponde però
alla preferenza dell’apparire rispetto all’essere, che invece è tipica
nelle culture che non tengono sotto controllo il caos, rispetto alle
quali per emergere bisogna apparire.
Bauman
affermava che viviamo già da tempo un epoca liquida, per dire che è un
epoca in cui la struttura della società non ha più quella solidità
necessaria che consentiva in qualche modo di arginare alcune
deformazioni sociali. In realtà siamo da tempo in una società gassosa,
siamo andati oltre la società liquida. In una società gassosa, ossia una società che perde i punti di riferimento i più deboli soccombono.
Un
antropologo, Felice di Lerna, afferma che, usando la metafora
dell’automobile in corsa, la caratteristica della post-modernità è
l’accelerazione. Su tutta una serie di ambiti, compreso anche il
mercato, i viaggi ed i trasporti il mondo fondamentalmente ha subito in
quest’ultimi anni un accelerazione profonda. L’antropologo facendo
riferimento a questo fenomeno dell’accelerazione utilizza questa
metafora dell’auto in corsa dicendo una cosa molto semplice. Quando
guidi un auto, se guidi a 60 kmh il conducende discute con i suoi
passeggeri, se guidi a 90 kmh, pure avendo un rettilineo davanti, il
conducende già comincia a parlare meno con i suoi passeggeri, magari
ascolta ma comunque rimane concentrato sulla guida. Se guidi a 150 kmh
automaticamente il conducende smetterà anche di prestare attenzione,
perché sarà fortemente concentrato sulla guida perché deve governare
l’auto, deve evitare che vada fuori strada. Inevitabilmente il
conducende si isolerà dal resto dei passeggeri.
Questa
metafora in sostanza mette insieme, la causa, ossia il fenomeno di
partenza che è quello dell’accelerazione strutturale della società con
la conseguenza immediata sulle reti più prossime alle persone, cioè il
silenzio. Essenzialmente, dice Lerna, in questo tipo di società in
questo momento, i più deboli soccombono perché perdono la rete
societaria di riferimento. In questa società, verosimilmente la persona
che si suicida che non ha il lavoro, non sapendo se si suicida per
umiliazione, per mortificazione, perché veramente non riesce a portare
il pane a casa. Se ci pensiamo è un paradosso, la persona che si suicida
non potendo portare a casa il pane, fa un gesto paradossale; perché da
quel momento le persone di cui si preoccupa non avranno più neanche lui a
disposizione, anzi avranno un problema in più da gestire la morte, il
lutto e l’assenza di questa persona.
Probabilmente
in una società tradizionale più arcaica, questo non sarebbe successo in
quanto i sistemi di presa in carico di contenimento, la lentezza di
quella società avrebbe in qualche modo impedito il gesto estremo e lo
avrebbe diluito in una serie di pratiche, di riti e di contenimento
della disperazione. Contenimento della disperazione che oggi noi non
abbiamo più a disposizione.
Quersto
nostro paese ha tra le sue principali caratteristiche, i principali
tratti distintivi sono l’ipocrisia e l’isteria. Ha una capacità di
stupirsi di cose senza significato, di cose effimere superiore a
qualunque altro popolo e continuerà sempre più a stupirsi. In realtà più
che stupirsi bisognerebbe attrezzarsi, operando un inversione ad “U”
dei paradigmi di sviluppo. La storia ufficiale di questo paese che
ormai, anche dal punto di vista caricaturale, viene sintetizzata “ce lo
chiede l’Europa”. Questo pensiero egemone e un pensiero folle, è
l’esasperazione della metafora dell’auto in corsa, pensiamo al discorso
del TAV, va esattamente su questa direzione. Lo sviluppo di un paese è
determinato dal numero di ore in meno dei mezzi di trasporto metteranno
per raggiungere un luogo. Se non si recupera una dimensione, anche di
decrescita con tutti i limiti delle teorie più famose, un nuovo
obiettivo dell’idea di sviluppo che non sia essenzialmente di tipo
economico, legato alla ricchezza, è evidente che qualcuno che non riesce
a stare dietro a questa accelerazione soccomberà. Esasperando la
metafora dell’auto in corsa, chi si butta fuori dalla macchina non regge
più, non solo il silenzio, ma non regge la velocità, mentre la macchina
continuerà a correre. Il tempo per riflettere a tale causa sarà
pochissimo, perché non si potrà distogliere lo sguardo dalla strada. Chi
si fermerà per riflettere e per parlare gli verrà risposto che l’Europa
che ce lo chiede.
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