domenica 9 dicembre 2012

Stato Sociale


Keynes ha spostato l'attenzione dell'economia dalla produzione di beni alla domanda, osservando come in talune circostanze la domanda aggregata è insufficiente a garantire la piena occupazione. Di qui la necessità di un intervento pubblico di sostegno alla domanda, nella consapevolezza che altrimenti il prezzo da pagare è un'eccessiva disoccupazione e che nei periodi di crisi, quando la domanda diminuisce, è assai probabile che le reazioni degli operatori economici al calo della domanda producano le condizioni per ulteriori diminuzioni della domanda aggregata. (Wikipedia)


Dal prof. Christian Marazzi

La grande soluzione è lo stato sociale. Lo stato sociale è la prima esperienza capitalistica di regolazione del circuito economico all’interno dei perimetri economici. Lo stato sociale a partire dalla grande crisi del 1929 è la prima esperienza di creazione di un mercato di sbocco, non prendendo i paesi al di fuori, ma all’interno del perimetro. E’ la creazione di quella famosa domanda aggiuntiva che manca nel circuito economico all’interno del circuito stesso, attraverso la spesa pubblica.

Una spesa pubblica deficitaria, perché non potrebbe essere altrimenti, condizione indispensabile per creare una domanda che non è contemplata del circuito economico stesso, dall’economia privata per intenderci. Il deficit è un veicolo per costruire ponti, strade, ospedali, scuole pubbliche, per aiutare i poveri. Tutti questi interventi da parte dello stato, sono interventi che lo stato può fare soltanto attraverso la spesa, il deficit. Esattamente come i paesi poveri che per poter fungere come mercato di sbocco hanno dovuto indebitarsi. Lo stato deve indebitarsi per creare una domanda in più che manca all’interno del circuito economico. Se si badasse solo sul prelievo fiscale non funzionerebbe uno stato sociale, perché un prelievo fiscale sarebbe un prelievo su una domanda che già di per se è insufficiente.

Quindi si prende da una parte per spostare dall’altra, però al netto di questo spostamento la domanda è sempre inferiore all’offerta. Per essere più precisi, se la domanda è costituita da 100 e l’offerta da 150, se si tassasse alcuni contribuenti, compresi i ricchi, che fanno parte dei 100, e li sposto ai poveri, alla fine è sempre 100, dunque inferiore ai 150. Quindi questa operazione di intervento attivo dello stato nella regolazione del circuito economico può avvenire soltanto attraverso il deficit.

Lo stato sociale quindi non può soltanto basarsi sulle entrate annuali (tasse e quant’altro) per poter creare quella domanda aggiuntiva che è necessaria per la realizzazione della vendita di questo valore aggiunto che viene, anno dopo anno, creato all’interno del circuito economico nazionale. Allora viene necessariamente posta una domanda “L’economia reale come è che può permettere allo stato di annullare, o ridurre questo deficit che ha contratto?” Qui entra in scena l’aspetto dinamico della tematica. Mettiamo che lo stato si indebita per 100 creando dei redditi, una domanda aggiuntiva, una domanda addizionale pari a 100, per esempio assumendo personale per ripulire delle strade, oppure fa un ordinazione per beni ospedalieri per costruire 10 ospedali, quindi un iniezione di domanda di redditi per aumentare la domanda stessa per accrescere il PIL. Lo stato iniettando questi 100 valori, per creare domanda aggiuntiva, significa che il capitale, gli imprenditori, potranno vendere una buona parte del loro sur plus. Il processo permette di realizzare i profitti e reinvestiti in parte, per ampliare la produzione e quindi creare occupazione di lavoro. La creazione di nuova occupazione complessivamente, evidenzia, che la base imponibile aumenta. Dunque per essere più chiari, ripartendo da 100 che permettono di realizzare profitti, che a sua volta permettono di realizzare degli investimenti creando, ampliando occupazione e produzione che amplifica la base imponibile. Quindi il prelievo fiscale più estesa, permetterà allo stato di ridurre il debito pubblico, per lo meno da renderlo gestibile. La funzione dello stato sociale quindi, è quello di alimentare un circolo virtuoso espansivo di occupazione e redditi.




Come è potuto accadere, quello che è accaduto. Noi abbiamo un periodo ormai di 25 anni, nel corso del quale si sono susseguite tutte una serie di contro riforme, perché l’unica riforma delle pensioni è quella del ‘69, tutte le altre sono state chiamate riforme, ma sono in realtà tentativi di riportare indietro la società. 

Non appena si dice sviluppiamo il sistema sulla base contributiva, si dice riportiamola a quella che era prima dello stato sociale Keynesiano, arrangiamoci, tornando a quello che era il sistema della prima metà del secolo scorso. Tu ricevi i soldi che hai messo da parte, niente di più. Questa si chiama contro riforma, non è una riforma, è un regresso sociale a condizioni pre esistenti. 

Come è potuto accadere, che la società fosse trascinata indietro. Ci sono state grandi manifestazioni, per esempio quando Berlusconi lanciò la sua proposta di riforma pensionistica, si scese in piazza, centinaia e centinaia di migliaia di persone che dimostrarono con forza la loro indignazione. Però, subito dopo Lamberto Dini, fece una riforma che al 95% era esattamente uguale a quella che aveva proposto Berlusconi e contro la quale la gente era scesa in piazza. Come è stato possibile, che fine ha fatto quella forza che abbiamo cercato di manifestare in quelle occasioni: La forza si è dissolta come neve al sole, non è intervenuta una forza reale nella società. E’ questo il problema che abbiamo, non dobbiamo cercare di fare appelli volontaristici, dobbiamo capire dove si annida la nostra debolezza sostanziale. Cerchiamo di superare, questa debolezza, con atti di volontà e di manifestazioni, ma che non si consolida in un sapere sociale. Questo è il vero problema, se il popolo è stato sconfitto, ripetutamente, è perché in qualche modo sotto sotto condividiamo una parte dell’esperienze dei nostri aguzzini. E’ lì che c’è la trappola. Quando loro parlano e dicono “Non c’è alternativa bisogna fare così”. Lo facciamo però un pò alla volta, la riforma Dini, oppure diamo un accettata come ha fatto la Fornero adesso, è perché ci dicono “Siamo costretti”.
C’è addirittura l’apologia del fatto che non ci sarebbero alternative. Il problema è che l’alternative ci sono, ma bisogna saperle individuare e costruire. 

Nel libro di Piero Angela Perché dobbiamo fare più figli, la problematica è molto chiara: ieri le pensioni potevano essere pagate con tranquillità, perché c’erano pochi anziani e una grande quantità di giovani al lavoro. In futuro ci saranno molti vecchi e poca gente al lavoro, perché ne nasce poca. 

Non c’è altra alternativa di ridurre le pensioni. Se si pensa che l’obbiettivo da qui al 2050, obiettivo di scemi, di idioti, di ignoranti, è quello di fissare la spesa pensionistica al livello del PIL attuale, non deve superare il 15%. Però tutti dicono che da qui al 2050 le persone anziane raddoppiano. Qualcosa non quadra, le persone anziane raddoppiano dandogli la stessa quantità di reddito che percepiscono oggi. Si sta dimezzando la loro ricchezza, li stai impoverendo drasticamente. Risposta “Non ci sono i soldi, come si fa? Non ci sono figli che possono sostenererli, la legge democrafica ci impedisce di mantenere meglio gli anziani”.


Siamo ritornati per caso nel 1600? Quando si credeva che la potenza di una nazione era nel numero di braccia disponibili. Ma noi, tutti i giorni ci spostiamo a piedi per andare al lavoro, o in vacanza e raggiungere qualsiasi parte del mondo, o abbiamo usato degli strumenti, o abbiamo usato la tecnica? Quello che manca nel libro di Piero Angela è il fatto che i giovani che stanno sostenendo gli anziani, oggi non usano più la zappa, non usano più il bue per arare, non usano più la cucchiara per mescolare il cemento. Oggi i palazzi si costruiscono con camion che arrivano con quintali di cemento e tirano su muri.
Tutto ciò significa che gli economisti nel 1600, avevano già capito che introducendo un congegno tecnico che permette di produrre molto più di prima, sostituisco lavoratori non avendo più bisogno di avere braccia, molto più efficace delle braccia: la forza produttiva degli strumenti tecnici che sostituiscono il lavoro. Se il discorso di Piero Angela fosse anche lontanamente vero, allora perché su quattro giovanotti messi sotto, due stanno buttati da una parte e non riescono a produrre, perché sono disoccupati? 

Sono disoccupati perché per il loro lavoro non si trova un uso. Questo è il punto fondamentale, l’innovazione tecnologica, modifica la realtà sociale e nessuno può raccontarci delle favolette pretendendo di fare scienza. E’ in realtà la diffusione dell’ignoranza governativa planetaria.

Attenzione, tutto questo discorso non serve a niente, perché lo stato delle cose ancora da ragione alle ideologie del 1600 diventando luogo comune, per cui la maggior parte delle persone è convinta che facendo meno figli bisogna ridurre i trattamenti pensionistici futuri.

E’ una stupidaggine, ma oramai la tendenza si è consolidata. Perché non si va a vedere il funzionamento della società nella sua concretezza. 

Qual’è stata la base del sistema pensionistico introdotto nel 1969. Non è che un trattamento generoso sia stato introdotto come dicono la maggior parte dei denigratori del vecchio sistema, per opportunismo politico. Siccome i politici volevano arruffianarsi gli elettori, hanno elargito a piene mani, una ricchezza che non avrebbero potuto elargire. Gli anziani hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità reali. Perché, per esempio, era assurdo secondo loro, introdurre un sistema retributivo. Che cosa è questa storia che quando tu vai in pensione, prendi l’80/90% dell’ultimo stipendio. Quanti soldi hai messo da parte? Quelli ti restituisco, chi se ne frega se è il 50% dell’ultimo stipendio, quelli sono soldi tuoi e arrivederci, quello ti spetta. 

Quando fu introdotto il sistema del ‘69, si riconobbe che questo ragionamento non aveva un fondamento economico reale, in quanto ormai si era sviluppata la capacità tecnologica in maniera straordinaria, e quindi la produttività richiedeva che la società assorbisse ciò che riusciva a produrre con le nuove tecniche.

Per questo si è deciso che le pensioni potessero essere ancorate alle ultime retribuzioni, senza causare alcun danno, anzi sostenendo l’attività economica. Perché quello che succede con lo sviluppo della tecnica, è che ad un certo punto la società è in grado di produrre sempre di più. Dobbiamo capire che il mondo cambia radicalmente con l’avvento dello stato sociale, perché la capacità produttiva dei paesi industrialmente avanzati esplode, cambiando radicalmente la condizione umana. I frutti propri della società capitalistica giungono a maturazione. Nel periodo precedente, la cosa che non si riusciva ad accettare era che il problema, che determinava la crisi, stava dal lato della domanda, non dal lato dell’offerta. In tutta la crisi degli anni ‘30 si diceva, come si sta dicendo in questo periodo, incredibilmente, bisogna lavorare di più, dobbiamo tagliare i sussidi di disoccupazione, le paghe dei dipendenti pubblici. A quel tempo Keynes disse “No, il problema non è dal lato dell’offerta, il sistema è in grado di produrre molto di più di quello che produce, non lo fa perché non c’è chi spende, non c’è la domanda.”



Questo è stata la grande rivoluzione che ha consentito, dopo la seconda guerra mondiale, un radicale cambiamento della società. Le pensioni, dello stato sociale Keynesiano, poggiano su questa consapevolezza. Diamo alle persone anziane un reddito corrispondente e alle possibilità del sistema economico. La domanda si manifesterà e il sistema sarà in grado di produrre il suo pieno potenziale, questa è la cosa più importante da capire. 



L’Europa dopo il 1945, gode di 30 anni, di pieno impiego, significa che la disoccupazione media nel vecchio continente, in quei 30 anni è inferiore al 3%. In alcuni periodi addirittura, le aziende chiedono 900.000 lavoratori, essendoci 100.000 disoccupati. Le aziende vogliono lavoratori e non li trovano, questa è la situazione che si instaura nel momento in cui la spesa pubblica cresce, garantendo uno sbocco alla capacità produttiva esistente. 



Che succede ad un certo punto dopo l’esplosione della capacità produttiva, succede che, Keynes ne aveva ampiamente previsto, le condizioni economiche non saranno più miserevoli come prima, creare lavoro non sarà più tanto facile, il problema della disoccupazione tornerà a presentarsi e bisognerà affrontarlo in un altro modo, non con un ulteriore spesa pubblica per creare lavoro. Questa condizione succede negli anni ‘80 e i conservatori cominciano a prevalere culturalmente. La prima cosa che fanno è quella di dire “La Banca d’Italia non sottoscriva più il debito pubblico italiano. Lo stato vuole spendere? Si aumentino le tasse.”



Le tasse, in Italia, negli anni ‘70 stavano al 25% del reddito, oggi siamo arrivati al 50%, sono raddoppiate, in quanto i conservatori hanno cominciato a dire “Se uno vuole qualcosa la deve pagare. Vogliamo che lo stato soddisfi i bisogni? Vanno pagati con le tasse”.



Questo è proprio quello che Keynes diceva che non doveva succedere, perché questo avrebbe lentamente fatto regredire la società, impoverendola, bloccando il processo di sviluppo. Non è un caso che lentamente siamo precipitati di nuovo in una situazione di ristagno strutturale. Allo stesso modo come quello degli anni ‘20 e ‘30 in Inghilterra e America, in quanto hanno preso il sopravvento le stesse menti che all’epoca combattevano contro lo stato sociale, facendo ristagnare l’economia europea per un ventennio. 



Da questo punto di vista, il problema delle pensioni va collocato all’interno di questa problematica, un aspetto essenziale che in qualche modo abbiamo conquistato con lo stato sociale, distrutto dalle contro riforme dei conservatori. Dobbiamo recuperare questa risorsa, dobbiamo cominciare a manifestare il pensiero progressista e propinarlo nella società.

Dobbiamo recuperare la forza lavoro come istituzione essenziale di una comunità nazionale, oggi la disoccupazione giovanmile sfiora il 36%, per quello che ci fanno sapere. I dati ufficiali, però, sono dati imbroglioni, in quanto nelle casistiche viene conteggiato anche il lavoratore che ha lavorato un ora nell’ultima settimana, viene considerato occupato. Venti anni fa all’ufficio collocamento si diceva “Lei è occupato?” “No” la registrazione consolidava la disoccupazione. Adesso fanno numerose controprove “Che cosa hai fatto nelle ultime 2 settimane di attivo nella ricerca di una occupazione?” La maggior parte dei giovani risponde “Niente, nel paese non ci sta niente che cosa faccio?” Dice l’intervistatore “ No, tu comunque dovevi scrivere a delle aziende in altri luoghi per cercare lavoro, se non cerchi lavoro in realtà non lo vuoi”
Con questo piccolo marchingegno fanno sparire, nella casistica, un numero imprecisato di giovani disoccupati. Il problema può essere risolto solo in un modo, la redistribuzione del lavoro a tutti, facendo in modo che tutti abbaino una occupazione, se non si riesce a riempire le ore della giornata si riduca il tempo di lavoro individuale, quanto è possibile.

I conservatori, distruttori della società, vincono perché anche noi, senza renderci conto, ragioniamo come loro. Nella protesta dei malati di SLA, contro il ministro Fornero, la quale ha risposto “Si, va bene, però 150. Gli altri si attacano” “Perché?” “Perché mancano le risorse”

Questa è stata l’argomentazione del ministro del lavoro. Dove sta scritto che mancano le risorse? Mancano gli infermieri? No! Mancano gli edifici per poter assistere le persone con gravi patologie? No! Mancano gli strumenti per trasportarli? No! Allora è colpa tua, quali sono le risorse mancanti, sei tu che sei una cocuzza. Sei tu che non riesci ad elaborare una mediazione sociale diversa dal denaro. La Fornero dovrebbe guardare le risorse, che non sono solo i soldi, raccogliendo le risorse produttive esistenti. O la Fornero pensa di lasciarle inutilizzate?