venerdì 20 dicembre 2013

Insieme si può

Un sogno che si sogna da soli è solo un sogno. Un sogno che si sogna insieme è una realtà. (John Lennon) INSIEME SI PUO'

A dream you dream alone is only a dream. A dream you dream together is a reality. TOGETHER WE CAN

Мечта вы мечтаете самостоятельно как только мечта. Мечта вы мечтаете вместе это реальность. Вместе вы можете '

Ein Traum, den Sie träumen allein ist nur ein Traum. Ein Traum, den Sie gemeinsam träumen ist eine Realität. Gemeinsam können Sie '

Un rêve que vous rêvez seul n'est qu'un rêve. Un rêve que vous rêvez ensemble est une réalité. Ensemble, vous pouvez '

Мрія ви мрієте самостійно як тільки мрія. Мрія ви мрієте разом це реальність. Разом ви можете '

你獨自一人作夢只是一個夢想。你的夢想一起夢想是成為現實。您可以同時'

Un sueño que sueñas solo es sólo un sueño. Un sueño que sueñas juntos es una realidad. Juntos pueden '

Една мечта мечтаете сам е само сън. Една мечта да мечтаете заедно е реалност. ЗАЕДНО ДА МОГА "

Một giấc mơ mà bạn mơ ước mình chỉ là một giấc mơ. Một giấc mơ mà bạn mơ ước với nhau là một thực tế. CÙNG BẠN CÓ THỂ "

حلم كنت تحلم وحدها ليست سوى حلم. حلم تحلم معا هو حقيقة واقعة. معا يمكن 

חלום שאתה חולם לבד הוא רק חלום.חלום שאתה חולם ביחד הוא מציאות. יחד אתה יכול '


BUONA VITA A TUTTI 




lunedì 25 novembre 2013

Commercio d'infanzia

Il 20 novembre si è celebrata la giornata mondiale dell’infanzia e dell'adolescenza. Una convenzione internazionale in cui venne approvata dall’assemblea dell’ONU nel 1989. Convenzione riconosciuta nel 1991 dall’Italia in cui si sancisce:
  • principio di non discriminazione
  • superiore interesse del bambino
  • diritto alla vita e allo sviluppo
  • ascolto delle opinioni del bambino

Nonostante questi 4 principi fondamentali in Italia , non esiste solo conflitto d’interesse per questioni legate a vicende tra bene pubblico e privato, ma esiste un conflitto d’interesse ancora più spregevole, ancora più abietto: un conflitto d’interesse sulle persone, in special modo sull’infanzia. Un palese conflitto di interesse tra politica, servizi sociali e giudici (sia togati sia onorari) a discapito dei bambini stessi e delle famiglie.

Il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, una onlus dedicata alla tutela dei diritti umani nel campo della salute mentale, denuncia il perdurare di conflitti d'interesse nei casi di allontanamento di minori dalle famiglie: gli istituti che ospitano questi ragazzi incassano fino a 400 Euro al giorno per ogni ragazzino - abbastanza per ospitarli in un hotel di lusso con uno psicologo per ogni bambino - mentre una perizia psichiatrica compiacente arriva a costare più di diecimila euro. Perizie psichiatriche compiacenti dietro alle numerose sentenze di allontanamento di minori dalle loro famiglie.

Al contrario nel nostro paese non c’è un informazione ed una sensibilizzazione di genitori e addetti ai lavori sui temi legate alla famiglia, con particolare enfasi sulla necessità di preferire il supporto alla famiglia in difficoltà, e considerare l'allontanamento del minore dal nucleo familiare come soluzione estrema, da adottare solo in caso di ragioni gravissime e comprovate, come peraltro previsto dalla legge.

Un vero sequestro di Stato, un business di approfittatori che coinvolge le istituzioni, pediatri, sociologi, pedagoghi e classe dirigente politica.

Il giudice Francesco Morcavallo ha cercato di contrastare questo sistema opaco, avvelenato da una complessa struttura in cui ognuno ricava la sua parte, una struttura di cui ne è rimasto, per ora, sconfitto. Il Giudice Morcavallo ha messo in rilievo un fatto poco noto: la progressiva deriva del processo da luogo in cui vengono accertati i fatti a luogo in cui si prendono decisioni basate su opinioni soggettive. Le sentenze di allontanamento del minore, infatti, sempre più spesso sono basate su perizie psichiatriche che in qualche modo sostengono l'inadeguatezza dei genitori a rivestire il proprio ruolo, pur in assenza assoluta di fatti oggettivi che possano comprovare tale inadeguatezza, senza la minima ombra di un riscontro oggettivo. 

In una intervista a Panorama, di Maurizio Tortorella, l’ex giudice denuncia questo sistema a dir poco scandaloso.


Sembra un uomo pensoso e forse triste, Francesco Morcavallo. Se davvero lo è, il motivo è una sconfitta. Perché, malgrado una battaglia durata quasi quattro anni, non è riuscito a smuovere di un millimetro quello che ritiene un «meccanismo perverso» e insieme «il più osceno business italiano»: il troppo facile affidamento di decine di migliaia di bambini e bambine all’implacabile macchina della giustizia.

Dal settembre 2009 al maggio 2013 giudice presso il Tribunale dei minorenni di Bologna, Morcavallo ne ha visti tanti, di quei drammatici percorsi che iniziano con la sottrazione alle famiglie e finiscono con quello che lui definisce l’«internamento» (spesso per anni) negli istituti e nelle comunità governati dai servizi sociali. Da magistrato, Morcavallo ha combattuto una guerra anche culturale contro quello che vedeva intorno a sé. Ha tentato di correggere comportamenti scorretti, ha cercato di contrastare incredibili conflitti d’interesse. Ha anche denunciato abusi e qualche illecito. È stato a sua volta colpito da esposti, e ne è uscito illeso, ma poi non ce l’ha fatta e ha cambiato strada: a 34 anni ha lasciato la toga e da pochi mesi fa l’avvocato a Roma, nello studio paterno. Si occupa di società e successioni. E anche di diritto della famiglia, la sua passione.

Dottor Morcavallo, quanti sono in un anno gli allontanamenti decisi da un tribunale dei minori «medio», come quello di Bologna? Sono decine, centinaia?
Sono migliaia. Ma la verità è che nessuno sa davvero quanti siano, in nessuna parte d’Italia. Lo studio più recente, forse anche l’unico in materia, è del 2010: il ministero del Lavoro e delle politiche sociali calcolava che al 31 dicembre di quell’anno i bambini e i ragazzi portati via dalle famiglie fossero in totale 39.698. Solo in Emilia erano 3.599. Ma la statistica ministeriale è molto inferiore al vero; io credo che un numero realistico superi i 50 mila casi. E che prevalga l’abbandono.
L’abbandono?
Quando arrivai a Bologna, nel 2009, c’erano circa 25 mila procedimenti aperti, moltissimi da tanti, troppi anni. Trovai un fascicolo che risaliva addirittura al 1979: paradossalmente si riferiva a un mio coetaneo, evidentemente affidato ancora in fasce ai servizi sociali e poi «seguito» fino alla maggiore età, senza interruzione. Il fascicolo era ancora lì, nessuno l’aveva mai chiuso.
E che cos’altro trovò, al Tribunale di Bologna?
Noi giudici togati eravamo in sette, compreso il presidente Maurizio Millo. Poi c’erano 28-30 giudici onorari: psicologi, medici, sociologi, assistenti sociali.
Come si svolgeva il lavoro?
I collegi giudicanti, come previsto dalla legge, avrebbero dovuto essere formati da due togati e da due onorari: scelti in modo automatico, con logiche neutrali, prestabilite. Invece regnava un’apparente confusione. Il risultato era che i collegi si componevano «a geometria variabile». Con un solo obiettivo.
Cioè? 
In aula si riuniva una decina di giudici, che trattavano i vari casi; di volta in volta i quattro «decisori» che avrebbero poi dovuto firmare l’ordinanza venivano scelti per cooptazione, esclusivamente sulla base delle opinioni manifestate. Insomma, tutto era organizzato in modo da fare prevalere l’impostazione dei servizi sociali, sempre e inevitabilmente favorevoli all’allontanamento del minore.
E lei che cosa fece? 
Iniziai da subito a scontrarmi con molti colleghi e soprattutto con il presidente Millo. Le nostre impostazioni erano troppo diverse: io sono sempre stato convinto che l’interesse del minore debba prevalere, e che il suo restare in famiglia, là dov’è possibile, coincida con questo interesse. È la linea «meno invasiva», la stessa seguita dalla Corte costituzionale e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.
Gli altri giudici avevano idee diverse dalle sue?
Sì. Erano per l’allontanamento, quasi sempre. Soltanto un collega anziano la vedeva come me: Guido Stanzani. Era magistrato dal 1970, un uomo onesto e serio. E anche qualche giudice onorario condivideva il nostro impegno: in particolare lo psicologo Mauro Imparato.
Che cosa accadeva? Come si aprivano i procedimenti? 
Nella stragrande maggioranza dei casi si trattava di allontanamenti dalle famiglie per motivi economici o perché i genitori venivano ritenuti «inadeguati».
Che cosa vuol dire «inadeguato»?
Basta che arrivi una segnalazione dei servizi sociali; basta che uno psicologo stabilisca che i genitori siano «troppo concentrati su se stessi». In molti casi, è evidente, si tratta di vicende strumentali, che partono da separazioni conflittuali. Il problema è che tutti gli atti del tribunale sono inappellabili.
Perché? 
Perché si tratta di provvedimenti formalmente «provvisori». L’allontanamento dalla famiglia, per esempio, è per sua natura un atto provvisorio. Così, anche se dura anni, per legge non può essere oggetto di una richiesta d’appello. Insomma non ci si può opporre; nemmeno il migliore avvocato può farci nulla.
Tra le cause di allontanamento, però, ci sono anche le denunce di abusi sessuali in famiglia. In quei casi non è bene usare ogni possibile cautela?
Dove si trattava di presunte violenze, una quota comunque inferiore al 5 per cento, io a Bologna ho visto che molti casi si aprivano irritualmente a causa di lettere anonime. Era il classico vicino che scriveva: attenzione, in quella casa molestano i figli. Non c’era nessuna prova. Ma i servizi sociali segnalavano e il tribunale allontanava. Un arbitrio e un abuso grave, perché una denuncia anonima dovrebbe essere cestinata. Invece bastava a giustificare l’affido. Del resto, se si pensa che molti giudici onorari erano e sono in conflitto d’interesse, c’è di che capirne il perché.
Che cosa intende dire? 
Chi sono i giudici onorari? Sono psicologi, sociologi, medici, assistenti sociali. Che spesso hanno fondato istituti. E a volte addirittura le stesse case d’affido che prendono in carico i bambini sottratti alle famiglie, e proprio per un’ordinanza cui hanno partecipato. 
Possibile? 
A Bologna mi trovai in udienza un giudice onorario che era lì, contemporaneamente, anche come «tutore» del minore sul cui affidamento dovevamo giudicare.
Ma sono retribuiti, i giudici onorari?
Sì. Un tanto per un’udienza, un tanto per ogni atto. Insisto: certi fanno 20-30 udienze a settimana e incassano le parcelle del tribunale, ma intanto lavorano anche per gli istituti, le cooperative che accolgono i minori. È un business osceno e ricco, perché quasi sempre bambini e ragazzi vengono affidati ai centri per mesi, spesso per anni. E le rette a volte sono elevate: ci sono comuni e aziende sanitarie locali che pagano da 200 a oltre 400 euro al giorno. Diciamo che il business è alimentato da chi ha tutto l’interesse che cresca.
È una denuncia grave. Il fenomeno è così diffuso? Possibile che siano tutti interessati, i giudici onorari? Che tutti i centri d’affido guardino solo al business?
Ma no, certo. Anche in questo settore c’è il cattivo e c’è il buono, anzi l’ottimo. Ovviamente c’è chi lavora in modo disinteressato. Però il fenomeno si alimenta allo stesso modo per tutti. I tribunali dei minori non scelgono dove collocare i minori sottratti alle famiglie, ma guarda caso quella scelta spetta ai servizi sociali. Comunque la crescita esponenziale degli affidi e delle rette è uguale per i buoni come per i cattivi. E c’è chi ci guadagna.
Per lei sono più numerosi gli istituti buoni o i cattivi? 
Non lo so. A mio modo di vedere, buoni sono quelli che favoriscono il contatto tra bambini e famiglie. Ce ne sono alcuni. Io ne conosco 2 o 3.
Ma, scusi: i giudici onorari chi li nomina? 
Il diretto interessato presenta la domanda, il tribunale dei minori l’approva, il Consiglio superiore della magistratura ratifica.
E nessuno segnala i conflitti d’interessi? Nessuno li blocca? 
Dovrebbero farlo, per legge, i presidenti dei tribunali dei minori. Potrebbe farlo il Csm. Invece non accade mai nulla. L’associazione Finalmente liberi, cui ho aderito, è tra le poche che hanno deciso d’indagare e lo sta facendo su vasta scala. Sono stati individuati finora un centinaio di giudici onorari in evidente conflitto d’interessi. Li denunceremo. Vedremo se qualcuno ci seguirà.
Quanto può valere quello che lei chiama «business osceno»?
Difficile dirlo, nessuno controlla. In Italia non esiste nemmeno un registro degli affidati, come accade in quasi tutti i paesi occidentali. 
Ipotizzi lei una stima. 
Sono almeno 50 mila i minori affidati: credo costino 1,5 miliardi l’anno. Forse di più. 
Torniamo a Bologna. Nel gennaio 2011 accadde un fatto grave: un neonato morì in piazza Grande. Fu lì che esplose il conflitto fra lei e il presidente del tribunale dei minori. Come andò?
La madre aveva partorito due gemelli dieci giorni prima. Uno dei due morì perché esposto al freddo. Che cosa era successo? In realtà la famiglia, dichiarata indigente, aveva altri due bambini più grandi, entrambi affidati ai servizi sociali. Il caso finì sulla mia scrivania. Indagai e mi convinsi che quella morte era dovuta alla disperazione. I genitori avevano una casa, contrariamente a quel che avevano scritto i giornali, ma ne scapparono perché terrorizzati dalla prospettiva che anche i due neonati fossero loro sottratti.
E a quel punto che cosa accadde? 
Il presidente Millo mi chiamò. Disse: convochiamo subito il collegio e sospendiamo la patria potestà. Risposi: vediamo, prima, che cosa decide il collegio. Millo avocò a sé il procedimento, un atto non previsto da nessuna norma. Allora presentai un esposto al Csm, denunciando tutte le anomalie che avevo visto. E Stanzani un mese dopo fece un altro esposto. Ne seguirono uno di Imparato e uno degli avvocati familiaristi emiliani.
Fu allora che si scatenò il contrasto? 
Sì. Fui raggiunto da un provvedimento cautelare disciplinare del Csm. Venni accusato di avere detto che nel Tribunale dei minori di Bologna si amministrava una giustizia più adatta alla Corea del Nord, di avere denigrato il presidente Millo. Fui trasferito a Modena, come giudice del lavoro. Venne trasferito anche Stanzani, mentre Imparato fu emarginato. Nel dicembre 2011, però, la Cassazione a sezioni unite annullò quella decisione criticando duramente il Csm perché non aveva ascoltato le mie ragioni, né aveva dato seguito alle mie denunce.
Così lei tornò a Bologna? 
Sì. Ma per i ritardi del Csm, anch’essi illegittimi, il rientro avvenne solo il 18 settembre 2012. Millo nel frattempo era andato via, ma non era cambiato gran che. Fui messo a trattare i casi più vecchi: pendenze che risalivano al 2009. Fui escluso da ogni nuovo procedimento di adottabilità. Capii allora perché un magistratro della procura generale della Cassazione qualche mese prima mi aveva suggerito di smetterla, che stavo dando troppo fastidio a gente che avrebbe potuto farmi desistere con mezzi potenti.
Sta dicendo che fu minacciato? 
Mettiamola così: ero stato caldamente invitato a non rompere più le scatole. Capii che era tutto inutile, che il muro non cadeva. Intanto, in marzo, Stanzani era morto. Decisi di abbandonare la magistratura.
E ora?
Ora faccio l’avvocato. Ma lavoro da fuori perché le cose cambino. Parlo a convegni, scrivo, faccio domande indiscrete.
Che cosa chiede? 
Per esempio che i magistrati delle procure presso i tribunali dei minori vadano a controllare i centri d’affido: non lo fanno mai, ma è un vero peccato perché troverebbero sicuramente molte sorprese. Chiedo anche che il Garante nazionale dell’infanzia mostri più coraggio, che usi le competenze che erroneamente ritiene di non avere, che indaghi. Qualcuno dovrà pur farlo. È uno scandalo tutto italiano: va scoperchiato.

lunedì 28 ottobre 2013

Promessa non mantenuta







Vediamo con insistenza e con superba ossessione ogni manovra finanziaria va a pescare i redditi dei pensionati in quanto più semplice, protestano poco, hanno scarsa visibilità. Ogni tanto in televisione passa il solito servizio del pensionato al parco che afferma di non arrivare a fine mese, poi tutto torna come prima.

In Italia, secondo gli istituti INPS e ISTAT, i pensionati sono 16,7 milioni con una spesa annua di 261,3 miliardi di €. 

Tralasciando le pensioni d’oro, con 470€ al mese come si fa a vivere dignitosamente per un pensionato se non comprare il pane, pasta, frutta di seconda e terza scelta. Azzerati completamente i divertimenti, il tempo libero, un buon libro da leggere, una pizza il sabato sera, per far posto alle bollette sempre più onerose. Una fotografia dalle più diffuse in Italia, sono più di 2 milioni i pensionati con un reddito mensile di 500€ mese (14% del totale), quasi 5 milioni i pensionati che percepiscono tra le 500 e le 1.000€ (31% del totale). Considerando che la soglia di povertà, calcolata per una famiglia senza figli o per un individuo, sui 990€ al mese , quasi la metà dei pensionati italiani sono oggi poveri. Non si immaginava per un pensionato di finire così quando si era impiegati sul posto di lavoro, si pensava alla meritata pensione come una beatitudine, come una gioia. In seguito scopri un altra stato di essere, lo Stato ti mette in dieta senza andare dal dietologo..

Purtroppo oggi con 500€ mese non si vive, oggi se non si raggiungono fra i 1.000 e 1.200€ mese i pensionati non sono in grado di vivere. E’ bene ricordare che le pensioni sono il frutto di versamenti di contributi che tutti sembra che dimenticano, cioè i lavoratori hanno versato allo Stato per tutti gli anni di lavoro in cambio di una promessa di un reddito, una promessa tradita. 

Dunque è logico pensare a come faranno i precari ad immaginarsi una pensione decorosa, è questo il grosso dilemma che hanno le nuove generazioni. Il sistema previdenziale, purtroppo, è iniquo sia con i pensionati che il governo facendo tagli non tiene conto che dietro una pensione c’è la fatica di un a persona, c’è tutta una serie di aspettative compresi i sogni di una persona, sia con i giovani di oggi che effettivamente, forse anche perché le riforme previdenziali sono sempre state un pò tardive, rischiano di non avere più una sicurezza.

Andare in pensione dopo una vita di lavoro durante la quale si è ricoperto anche ruoli di responsabilità con una pensione che si assottiglia sempre di più non è una bella prospettiva. Dunque oggi per questi soggetti esiste delle pensioni discrete, oltre 2.500€ lorde, quelle che da qualche anno sono finite nel mirino delle leggi finanziarie, alla voce tagli.

Già con il decreto Monti hanno rivalutato solo le pensioni fino a 1.410€, oltre nulla, quindi la perdita in due anni di 120€ mese, moltiplicato per 12 mesi, 2.400€. Ogni anno a gennaio le pensioni vengono rivalutate per tenere conto dell’aumento del costo della vita. Dal 2001 l’adeguamento è stato progressivamente ridotto per gli assegni più alti, Di taglio in taglio si è arrivati al governo Monti che al 2011 ha bloccato fino al 2013 la rivalutazione delle pensioni superiori al tre volte il minimo, cioè circa 1.500€. 

Soldi persi che non verranno recuperati, ora la legge di stabilità approvata dal governo, prevede che la rivalutazione automatica riparta, ma distribuita su cinque fasce. Si prenderà il 100% dell’adeguamento dell’inflazione solo le pensioni fino al tre volte il minimo, Per le altre ci sarà un taglio progressivo che arriva al 50% per le pensioni fino a sei volte il minimo 3.000€ lordi. Il taglio poi è sull’intero importo dovuto, chi incassa di più non avrà nessuna adeguamento per tutto il 2014. Una pensione che cammina con il costo della vita all’indietro, si arriverà ad una pensione in grado di soddisfare un pasto di pane e cipolla, una perdita netta di 602€ sul triennio prevista dalla manovra. 

Effettivamente da alcuni anni si è imperversato troppo sui pensionati, da ricordare che fino al 1992 erano addirittura agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività, perciò godevano di un indicizzazione vera, aumentava l’inflazione ma aumentava anche i contratti, via via i contratti sono stati taglieggiati fino ad essere annullati negli ultimi due anni. Una misura negativa anche dal punto di vista economico in quanto il problema che sta attraversando l’Italia è quella di un blocco dei consumi, non facendo ripartire il mercato interno. Incidere sul potere di acquisto delle pensioni, che si sono svaporate nel corso degli anni, è sul punto di vista economico una misura completamente sbagliata, un disincintivo ai consumi, di cui l’Italia non ha assolutamente bisogno, se vogliamo effettivamente vedere una ripresa che comporti anche un aumento dell’occupazione e una diminuzione delle tasse.
Entrando nel territorio delle pensioni d’oro, i pensionati di questa categoria sono rimasti in bilico fino alla fine, ma poi il governo li ha inseriti nella legge di stabilità in esame in parlamento. Si tratta dei prelievi sulle pensioni d’oro, o meglio contributi di solidarietà per pensioni elevate, quelle che superano i 100.000€ lordi l’anno. Il contributo potrebbe essere scaglionato con un prelievo di 5% sulle pensioni fino a 150.000€, del 10% su quelle fino a 200.000€ e dl 15% oltre i 200.000€ lordi anno.

In alternativa il contributo potrebbe essere unico, ma per le pensioni oltre 150.000€, discussione ancora in essere con una soluzione da verificare. L’esecutivo quindi ci riprova nonostante la Corte Costituzionale abbia già bocciato qualche mese fa un provvedimento simile predisposto dai governi Berlusconi e Monti. Per i giudici della Consulta i vecchi contributi di solidarietà erano discriminatori, perché colpivano i soliti redditi dei pensionati e non dei lavoratori attivi. 

Quanti sono i pensionati che riscuotono assegni di oltre 4.000€ netti ogni mese, secondo i dati dell’INPS 43.000, che pesano sul sistema pensionistico di 6,3 miliardi€, il 2% della spesa complessiva. Ci sono poi un piccolo gruppo di pensionati definiti dei veri uomini d’oro, come un ex maneger Telecom che percepisce 90.000€ lordi al mese, o un ex dirigente comunale che porta a casa 49.000€, una cifra 106 volte più alta della pensione minima. I pensionati d’oro rispondono di aver versato tutti i contributi, parecchi soldi, facendo notare che le pensioni fino al 2011 venivano calcolate con un sistema retributivo, ovvero sulla media degli stipendi incassati negli ultimi anni di lavoro e non sulla base contributivo, versati per tutta la carriera. Il sistema contribuitvo però sarà veramente proporzionale agli assegni percepiti?

E’ chiaro come il sole che le pensioni d’oro sono frutto di leggine clientelari approvate notte tempo, sarebbe già sufficiente fare degli interventi per i trattamenti di favore togliendoli di mezzo. Come sarebbe auspicabile cercare di riequilibrare le situazioni in cui i contributi versati, sostanzialmente non sono sufficienti a pagare per tutto l’arco della vita, che si è allungata molto. Come tutte le misure devono essere chiare e finalizzate.

lunedì 7 ottobre 2013

Costituzione e lavoro



Un centro d'interesse, il potere costituito quello che in realtà sta andando a ledere la libertà e la dignità degli uomini e dei cittadini di questa Repubblica. Ora il personaggio che rappresentava soltanto l'esecuzione di quei propositi ormai è al tramonto, ma adesso c’è direttamente il centro del potere, un apparato finanziario e bancario di questo paese, che ha una serie di collegamenti, una ragnatela per tutto questo pianeta.

La Carta Costituzionale non è un foglio di carta inerme in cui sbarazzarsene a piacimento o più precisamente, facendo un adeguata trasmutazione, un foglio elettronico che possa chiudersi con un clik, ma è semplicemente la Costituzione della Repubblica Italiana, nella quale i costituenti hanno fatto un patto con i cittadini di questa Repubblica, che noi tutti dobbiamo osservare perché è il fondamento, il pilastro del perché stiamo insieme, del perché continuiamo ancora a stare insieme. Si potrebbero citare una serie di articoli in materia di lavoro, di maternità, di uguaglianza, di solidarietà, di sostegno, di libertà, ma andando ad approfondire il tema del sistema economico che regna in questa Italia bisogna considerare il Titolo III della Costituzione, cioè quello dei “rapporti economici”. E’ evidente che nella Carta esiste una differenza terminologica, cioè, di banche non si parla, cioè tutti gli articoli della Costituzione della Repubblica Italiana non si parla per nulla di banche, non c'è nemmeno un piccolissimo rifermento.

Si apre con l'articolo 35 in cui la Repubblica tutela il lavoro. Esplorando con una lettura di massima il sistema, per poi cercare di scendere nel particolare, è necessario elencare quanto segue.

L'articolo 36 continua a parlare del lavoro e quindi dei lavoratori, un importanza fondamentale in questa repubblica, soprattutto nell’attualità perché: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro, in ogni caso (l’aspetto più importante) che sia sufficiente ad assicurare a se e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. 

Che cosa significa, “che sia sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa” non solo la propria persona, il lavoratore, cioè quello che presta l’attività lavorativa, ma la persona dovrà mantenere anche la sua famiglia. Quindi questa retribuzione deve essere consona ed adeguata per far si che queste persone siano libere, che non siano degli schiavi, che il sistema di riferimento non debba essere come una prigione, un oppressione non garantendo a questi cittadini la possibilità di esplicare, di esprimere la propria vita, la propria gioia, la propria felicità, la propria capacità di essere, la voglia di studiare, la voglia di intraprendere, ma che sia un esistenza che porti ad una serena vecchiaia dignitosa. Dignitosa nel senso che debbono essere soddisfatti i bisogni essenziali come quello alla salute, di avere una casa, di avere una esistenza sociale, di poter vivere liberamente, di circolare, di manifestare il proprio pensiero, di poter scrivere, di poter leggere, di poter vedere la televisione; tutta quella serie di cose che fanno della vita un concetto molto più penetrante di quello che viene intravisto come soltanto dei consumatori, come di utenti di beni o di servizi.

La Costituzione continua parlando della donna lavoratrice, dei cittadini che possono essere inabile al lavoro per cui c’è la necessità di avere degli ammortizzatori sociali o la capacità della cassa integrazione o la necessità della pensione d’invalidità, di vecchiaia e disoccupazione. Poi parla dell'organizzazione sindacale, del diritto di sciopero, per giungere fino all’articolo 41 dopo ben 7 articoli della Costituzione che parla dei rapporti economici, dell iniziativa economica privata libera, non potendo tuttavia svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in un modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana. 

Andando avanti con gli articoli, possiamo notare come la Costituzione, nell’interesse collettivo dei cittadini, possa agevolare categorie di imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, anche in condizioni di monopolio. Per i padri costituenti era necessario mettere al primo posto l’interesse generale, non sdegnando l’iniziativa priva. Oggi come abbiamo visto in tutte le testate giornalistiche abbiamo completamente rovesciato il rapporto, con la vendita della Telecom Italia ed un salasso avvenuto negli anni passati, che gli italiani stanno pagando a duro prezzo. 

Nei successivi articoli la Costituzione, non solo promuove, ma tutela le comuintà montane, la piccola e media impresa, l’artigianato, le cooperative dei lavoratori senza fini di speculazione privata, favorendo, incoraggiando e tutelando il risparmio in tutte le sue forme, coordina e controlla l’esercizio del credito. 

Certo, qualsiasi soggetto può liberamente fare un'attività economica, nel senso che si posso andare a creare delle strutture, dei mezzi per cercare di trarre profitto dall’idea intrapresa, ma questa attività, questo profitto, questa utilità personale non potrà mai rivolgersi contro l'utilità di tutti, si rifletta a quello che fanno oggi le banche. Le banche prendono i soldi che i cittadini depositano nei propri conti a prestito, pagano un interesse risibile e a loro volta prestano a coloro che invece ne hanno bisogno con altri tipi di interessi. Questo differenziale si chiama Spread, la differenza che esiste fra il tasso attivo che la banca dà ai correntisti e il tasso passivo che la banca riceve dai suoi debitori a cui ha dato dei soldi in prestito. Dove si incontrano una delle grandi difficoltà o magagne della situazione descritta. Le banche si finanziano tramite la BCE al tasso fisso dell’1%. Quindi non solo prendono i soldi da parte dei correntisti a cui non danno quasi nulla perchè parliamo di interessi dello 0,1, 0,2, 0,3% lordo, ma lo prendono all'1% da parte della BCE prendendo in prestito centinaia di miliardi di euro dalla banca centrale per poter immetterli nel sistema bancario. Cosa che invece non è avvenuta. Come li consegnano ai cittadini, ai pochi fortunati a cui vanno dei finanziamenti. Li consegnano in considerazione, non rischiano assolutamente nulla nella loro impresa, che non solo è a fini privati, non avendo nessuna utilità sociale, ma in realtà li prestano a quei pochi fortunati al 16,6%, tasso soglia al di là del quale ci sarebbe addirittura usura e sarebbe reato. Fra l’1% e il 16,6% c’è un differenziale, uno spread del 15,6%. Confrontiamolo su 100€. La banca prendendo 100€ in prestito dalla BCE, al 31 dicembre dell’anno successivo la banca stessa paga 1% di interesse. Il correntista invece a cui vengono affidati in conto corrente questo denaro di 100€, paga alla banca 6,60€, oltre le spese, oltre le commissione, solamente come tasso d’interesse, con un guadagno di 15,6€. Potrebbe essere giustificato una parte di questo differenziale, con le spese per il personale, i costi fissi per l'agenzia, il resto è tutto utile.

Da dove parte la situazione. Parte da una considerazione, da un concetto, se fosse un attività economica uguale a tutte le altre attività umane, ci sarebbe solamente un bilancio in cui da un lato passivo i costi, dall’altro lato attivo i ricavi, la differenza rappresenta l’utile. Negli anni passati le banche hanno ingigantito i propri bilanci con una serie di utili, continuano anche oggi a farlo non si creda alla circostanza che le banche oggi non abbiamo la capacità di produrre ricavi, di produrre profitti.

Non solo hanno questo tasso d'interesse, questo spread come ricavi, le banche prestano a loro volta dei soldi a società finanziarie e a loro stessi per fare delle operazioni speculative, da lì è nato tutto il problema. Dicono che questa è la finanza creativa, inventata dal mondo anglosassone e dalle banche americane di affari, ma tutte le banche hanno giocato in maniera sporca con i soldi dei cittadini. Hanno investito questo denaro in EgiFunds, in mutui subprime, qualsiasi cosa che garantiva loro profitti eneormi, creando castelli di carta come i crediti default swap (cds). Questi cds non è altro che un obbligazione che rappresenta un derivato in cui c’è un sottostante rischio di fallimento di un sistema, o perché riguarda i crediti di un sistema, ad esempio il sistema Italia o sulle obbligazioni dei BTP o sui BOT o su un sistema privato di aziende come poteva essere la Parmalat di Calisto Tanzi. 

Contro il rischio di questo fallimento le banche con la creazione di questi cds è come se si assicurassero. Sicuramente la maggior parte di noi non può sapere, per ovvie ragioni, quanti cds circolano su questo pianeta, ma di quello che possiamo documentarci da fonti quasi certe, sono il triplo, il quadruplo di tutto il prodotto interno lordo di tutto il mondo, cifre talmente spaventose, montagne di carta che non valgono assolutamente nulla drogando tutto il sistema finanziario globale. Assicurazioni che prima o dopo arriveranno a scadenza creando uno scombussolamento tale dal punto di vista economico e sistemico di cui i pezzi non si troveranno più.

Come si esce adesso da questa situazione. Troviamo la ricetta sulla Costituzione:

                                                          Art. 43.

A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.

Occorre una spinta, non solo un dovere di propositi e ideali di cambiamento, ma per far si che questo articolo 43 sia realmente applicato in questa Repubblica. In questo momento esiste la necessità di utilità generale, la legge può trasferire, quindi significa spostare da uno ad un altro, chiaramente risarcendo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese. Una di queste imprese che oggi andrebbe trasferita dallo Stato è l'impresa bancaria tutta. 

Da ricordare assolutamente che prima di questo sistema di liberalizzazioni ed privatizzazioni selvagge esistevano le banche di interesse nazionale: Banca commerciale, Banca di Roma, Credito Italiano, Banco di Napoli e Banco San Paolo di Torino. Banche che avevano un fondamento pubblico e quindi il credito che veniva coordinato, gestito, controllato da parte dello Stato, era uno dei motori primi dell'economia, oggi lo stato deve riappropriarsi di un mercato come quello creditizio che è l'origine del sistema economico, il modo con cui i cittadini fra di loro regolano i rapporti, proprio per le difficoltà economiche e le difficoltà sistemiche che esistono in questa Repubblica. 

Occorre una spinta ulteriore per una grande mobilitazione da parte di tutti i cittadini, come forza di pressione creando le condizione per fare il mondo che le imprese bancarie, che oggi sono proprietà privata e che quindi creano soltanto utili al proprio tornaconto, contrari all’utilità sociale, contrari alle finalità pubbliche del sistema, venga riassegnato allo Stato che ne ha legittimo diritto. 

Lo Stato siamo tutti noi cari connazionali, non è un entità astratta, non è un mondo virtuale, ma è la vita di tutti i giorni. Parliamone, facciamo quanto possibile da organizzare, da creare massa critica per fare in modo che questo sistema cambi, cambiando ogni volta che noi cittadini decidiamo una cosa insieme ad altri.

Per tale ragione è indispensabile parteciapre alla manifestazione del 12 ottobre a Roma in difesa della Costituzione, promossa da Lorenza Carlassare, Don Luigi Ciotti, Maurizio Landini, Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky.



martedì 24 settembre 2013

Trecentoventimila



L'Islanda aveva il diritto, quando le sue banche sono crollate a ottobre 2008, di rifiutare di rimborsare gli investitori stranieri che gli aveva dato fiducia. Un diritto che il popolo islandese ha raggiunto con estrema compattezza, dopo un lungo braccio di ferro, contro il giudice del EFTA (European Free Trade Association).

Dopo la decisione dell'Islanda si è scatenato l’inferno, soprattutto in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi, dove si sono concentrati gli investitori più danneggiati (totale dei fondi affidati alle banche islandesi per circa cinque miliardi di euro, più della metà del PIL del paese).

Questo piccolo paese, con 320.000 abitanti, aveva avuto il coraggio di dire "NO" ad una richiesta di pagamento internazionale. Gli inglesi avevano anche deciso, a titolo di rappresaglia, di congelare i beni islandesi basate sulla legislazione anti-terrorismo.

Gli Islandesi ricordano ancora con un misto di rabbia e di orgoglio, addirittura se la ridono "A quel tempo eravamo terroristi! ".

Geir Haarde, Primo Ministro dell'Islanda 
dal giugno 2006 al febbraio 2009
Questo scontro con Londra, condotto da un gruppo guidato da un governo conservatore, Geir Haarde, è stato il punto di partenza di una situazione di stallo che ha portato gli islandesi, gli ex beniamini di ideologi libertari nella leggenda anticapitalista.

Quando le sue banche, bocconi prelibati di attività rischiose erano crollate, lo Stato islandese aveva accettato di risarcire i risparmiatori islandesi, ma non gli altri. Tale decisione è stata affrontata con una sorta di regolamentazione bancaria europea: 



l'Islanda, che fa parte dello Spazio economico europeo (SEE), deve garantire il risparmio di tutti i candidati europei - fino a un massimo di EUR 20 880 a persona. 

Alistair Darling: ministro delle 
finanze britannico
In preda, in cui il paese era caduto, il governo ha avuto poca scelta. Mentre sull'isola, esplosa la disoccupazione, i salari sono stati congelati e prezzi dei prodotti alimentari raddoppiati, questi requisiti dall'estero non erano accettabili. 

Il 7 ottobre, il Cancelliere dello scacchiere britannico Alistair Darling è al telefono con il suo omologo, il Ministro delle Finanze Arni Mathiesen, che conferma la cattiva notizia. 

"Ma non è una violazione del trattato del SEE? "Chiede Darling.

Mathiesen: "No, non pensiamo. Noi crediamo che questo è in realtà coerente con ciò che altri paesi hanno fatto in questi giorni "(allusione all'atteggiamento americano nel fallimento di Washington Mutual Savings Bank). 

Darling minaccia prima di riagganciare: 

"Il problema è che le persone hanno affidato i loro soldi in una banca a voi e avete deciso di sedersi sui loro interessi. Questo potrebbe essere devastante per l'Islanda in futuro! "

Il contenzioso si è cristallizzato sui depositi presso una banca online, Icesave, controllata da Landsbanki, la prima banca dell'isola. Con una grande campagna di propaganda, con clienti britannici e olandesi, la banca prometteva un tasso d’interesse adirittura al 6%. 

400.000 risparmiatori inglesi e olandesi, tra cui imprese, autorità locali e anche le università di Oxford e Cambridge, avevano raccolto l'esca.

Furioso, il primo ministro britannico, al momento, Gordon Brown, ha deciso di congelare i beni di istituti islandesi in Gran Bretagna. Non avendo una solida base giuridica per farlo, si basò quindi sul Terrorism Act 2001. Vi ricorda qualcosa i sostenitori della NO TAV in Val di Susa? Quindi l'Islanda appare al fianco della Corea del Nord, Sudan o Al-Qaeda, nel sito del ministero del tesoro britannico. 

Per evitare l'ira dei loro cittadini, i governi di Londra e L'Aia si compensano gli investitori. Poi tornano alle autorità islandesi per un rimborso.

Össur Skarphédinsson, 
 Ministro degli Affari Esteri d'Islanda dal 2000
Össur Skarphédinsson, prende tempo: l'importo richiesto è del 60% del PIL. In proporzione, ciò corrisponde a due volte le riparazioni necessarie in Germania dopo la prima guerra mondiale, considerato da tutti gli storici come assurdamente pesante!

I negoziati sono iniziati con molte difficoltà. L'Unione europea si avvale di Londra e L'Aia. Nel 2009, i principali paesi europei ostacolano all'interno del FMI, il rilascio della tranche di aiuti promesso all’Islanda. 

Nel mese di ottobre 2009, è stato raggiunto un accordo tra Reykjavik, Londra e L'Aia. Il parlamento islandese approva. L'Islanda riconosce un debito al 5,5% in quindici anni a partire dal 2016, nei confronti del Regno Unito e Paesi Bassi. 


Il debito è l'equivalente di 13 000 EUR per ciascuno degli islandesi, compresi i bambini.


Il popolo islandese non ci sta: circola una petizione, invitando il Presidente Olafur Ragnar Grimsson a rifiutarsi di firmare la legge. La petizione raggiunge 56.000 firme, 26% dell'elettorato islandese. Immaginate in Italia una petizione con dieci milioni di cittadini, quale forza politica ostacolerebbe l’iniziativa? 

Il presidente Olafur Ragnar Grimsson, in cui la Costituzione dà poco potere per abrogare un disegno di legge, lo sottopone a referendum. Questa è la prima volta in Islanda che un presidente usa questo potere. 

Dopo il referendum, tenutosi 6 Marzo 2010, il 93% degli elettori respingono le condizioni di rimborso del debito agli inglesi e olandesi. Solo 1,8% approva.

Nel dicembre dello stesso anno, un nuovo accordo è stato trovato con Londra e L'Aia. Gli islandesi vengono indotti ad un ulteriore rinegoziazione a causa delle pressioni degli europei nei confronti dell'FMI.

L'accordo ora ha un debito di circa il 3%, circa 30 anni, con inizio pagamento dal 2016, ma la storia si ripete. Nel febbraio 2011, il presidente Olafur Ragnar Grimsson ha rifiutato di firmare l'accordo e sottoporlo a referendum. Il 9 aprile 2011, gli elettori hanno respinto ancora una volta con il 60% dei voti.

E 'quindi una sorpresa: i sondaggi prevedevano una vittoria del "sì". Un altro schiaffo al governo socialdemocratico islandese. "La scelta peggiore è stata scelta. Il voto ha diviso il paese in due. Dobbiamo fare di tutto per evitare il caos politico ed economico dopo questo risultato ", dice Johanna Sigurdardóttir, Primo Ministro Islandese.
La controversia tra Reykjavik da un lato, Londra e L'Aia dall'altro è sicuramente un fatto di giurisprudenza molto sigificativo, infatti la Corte Costituzionale Islandese ha accettato i referendum per la la grande gioia degli islandesi .

L'autorità di vigilanza EFTA ha preso atto della sentenza, "Chiarisce una questione importante."

Comunque per gli olandesi e inglesi non finisce male: gli islandesi hanno sicuramente detto due volte "no" per l'idea di sostenere questo debito per il contribuente, ma la liquidazione della Landsbanki dovrà pagare i due terzi degli importi dovuti a Londra e L'Aia.

mercoledì 4 settembre 2013

Tre perfide sorelle



Le agenzie di rating (AR) sono state al centro del dibattito dell'opinione pubblica fino alla fine del 2012, poi l'argomento è caduto nell'oblio. La ribalta delle AR è avvenuta in seguito al declassamento di ben 9 Stati dell'unione europea. Cosa sono queste AR come funzionano e che peso hanno sull'economia mondiale, come mai le loro valutazioni siano così importanti ed infine, fino a che punto i loro giudizi siano affidabili.

Queste agenzie altro non sono che degli organismi, i quali definiscono un punteggio relativo, o a degli Stati Sovrani o a società quotate in borsa, inerente alla loro capacità di solvibilità del proprio debito.

Questo dimostra che uno Stato o una società il debito lo crea vendendo dei titoli di stato nel primo caso, o delle azioni nel secondo nel mercato finanziario. In sostanza si fanno prestare dei soldi ai creditori promettendo loro la restituzione della somma prestata maggiorata degli interessi ad una determinata scadenza. 

In base a questo precetto è evidente che le agenzie di rating sono fondamentali sia per le società emittenti che per gli investitori, in quanto le stesse agenzie valutano il rischio che si corre acquistando titoli di stato o azioni societarie. Per le società emittenti, in quanto sulla base di valutazione ricevuta dalle agenzie di rating, possono fissare il prezzo delle proprie obbligazioni con il fine di piazzarle al meglio sul mercato finanziario. Per quanto riguarda gli investitori, le AR forniscono la fonte primaria da cui deriva l'informazione e dunque considerata più veritiera, più sicura all'acquisto dei titoli di società e stati

Le più considerevoli AR, fra tutte quelle che esistono nel mondo, sono principalmente tre: Moody's, Standard & Poor's e Fitch, ed hanno sede negli Stati Uniti, ma di origine anglosassone. Le AR attuano le loro valutazioni su una base di una scala stimando i titoli più sicuri con una AAA, contrariamente ai titoli più a rischio con una quotazione C o non classificato. 

La domanda che sorge spontanea, diceva Antonio Lubrano in una trasmissione della Rai "Mi manda Raitre" è: le valutazioni delle AR sono affidabili? Se sono affidabili fino a che punto?

E' facile ricordare il clamoroso caso della Lehman Brothers che pochi giorni prima del suo fallimento le AR valutavano le sue azioni un investimento più che sicuro. 

L’affidabilità del rating è andata, negli anni, progressivamente scemando, difatti il metodo di valutazione è cambiato. L’investitore prima di comprare un'azione di una determinata società, chiedeva la stima all'AR, pagando l'agenzia per il suo servizio. Negli anni '70 questo sistema è mutato, sono le società quotate in borsa a chiedere all'AR la propria quotazione pagando loro stesse la prestazione. E’ evidente che tale pratica crea un conflitto di interesse. Un altro punto preoccupante è che nel 1975 la SEC, l’equivalente USA della nostra Consob, a causa di una crescente perdita di fiducia nei confronti delle valutazioni che molte agenzie facevano, crea le NSRO, ovvero l'organizzazione di statistiche di rating, nazionalmente riconosciute. Visto che per essere una organizzazione statistica di rating riconosciuta bisognava avere dei requisiti, solamente pochissime sono state nazionalmente riconosciute deliberando un vero oligopolio, difficilmente scalfibile. 

Il conflitto d’interesse è reso particolarmente più acuto da una sorta di ricatto, in quanto le AR possono confezionare alle società che non vogliono una valutazione, non ricercandola non pagherebbero. Sicuramente è molto più probabile che una società che abbia richiesto il rating, quindi che paga, abbia una valutazione più positiva di una società che non gradisce la valutazione, cioè non paga.

L’ultimo grande problema che riguarda le AR, sono le consulenze che vengono chiamate “ancillari” ovvero più analisi che una società richiede e più è probabile ottenere una quotazione positiva. Sicuramente queste considerazioni sono solo ipotesi, tuttavia le riforme che erano necessarie dopo il crollo di Lehman Brothers e i giudizi delle AR, non sono state fatte.

La questione delle AR è estremamente complessa, di sicuro rimangono delle zone grigie in cui operano le agenzie, in considerazione che esiste una grande enfasi eccessiva sul ruolo di queste AR, hanno di fatto ad orientare le scelte degli investitori. Qualcuno prevedeva, dopo il declassamento dell’Italia, un innalzamento dello spread dei titoli italiani nei confronti di quelli tedeschi, cosa che non è avvenuta. Tecnicamente si dice che le agenzie stanno dietro la curva, in realtà stanno certificando quello che i mercati hanno già odorato. Quindi è chiaro che l’affidabilità di queste società non è un dato certificato, sarebbe auspicabile liberalizzare anche il campo delle AR per rendere i giudizi del rating più trasparenti, ma questo è una aspetto imposto e riservato soltanto ai Stati Sovrani.


Nel suo libro, John Perkins “I sicari dell’economia” ci descrive come un elite di professionisti, ben retribuiti, che ricevono la delega di comandare e trasformare l’economia dei paesi in via di sviluppo, in un continuo processo di indebitamento e di asservimento agli interessi delle multinazionali e dei governi più potenti del mondo. Uomini che lavorano dietro le quinte e sono i principali artefici dell’espansione di un impero che impone una struttura politica e sociale di loro gradimento. 
In dieci anni John Perkins è stato uno di loro, toccando con mano il lato più oscuro della globalizzazione in paesi come Indonesia, Ecuador, Panama, Arabia Saudita, prima di affrontare una graduale presa di coscienza che lo ha portato a farsi difensore dell’ecologia e dei diritti civili delle popolazioni sfruttate.

"SENZA UNA FORMAZIONE ED UNA PREPARAZIONE POLITICA, UN SOLDATO E' UN POTENZIALE CRIMINALE.........Il DEBITO è la nuova forma di COLONIALISMO, i vecchi colonizzatori si sono trasformati in TECNICI (vi ricorda qualcosa?) dell' aiuto umanitario, ma sarebbe meglio chiamarli tecnici dell'ASSASSINIO! Sono stati loro a proporci canali di finanziamento, i finanziatori dicendoci che erano le cose giuste da fare per far decollare lo sviluppo del nostro paese, la CRESCITA del nostro popolo ed il suo benessere... questi finanziatori ci sono stati consigliati addirittura raccomandati, c'hanno presentato pacchi di dossier e prospetti finanziari allettanti, erano elegantissimi quei dossier, ma ora ci ritroviamo indebitati per i prossimi 50, 60 anni cioè siamo stati convinti a compromettere i nostri popoli per i prossimi 50 anni e più..." Thomas Sankara


Nulla avviene casualmente, tutto è stato programmato compreso la crisi finanziaria, mettendo in una posiziona di forza il potere finanziario internazionale. Potere che piega i popoli in maniera vile e strisciante. L’ultimo ritrovato a servizio di queste multinazionali sono queste cosche che sono riuscite a mistificare un imbroglio a delle operazioni legali. Cosche che decidono i destini del mondo con le ormai famigerate AAA o BBB, tre sorelle, la faccia del sistema finanziario capaci di garantire montagne di titoli tossici e virulenti. Si tratta in parole povere, di un giro di profittatori e mascalzoni finanzieri dove si verificano casi ai confini della realtà finanziaria, come illustra Lannutti (presidente dell’ADUSBEF) 《La grande del rating S&P, che ha declassato l’Italia, ha una partecipazione nel fondo americano Black Rock, il quale a sua volta ha una partecipazione del 4% nel nazionariato di Unicredit, una notizia ignorata dai media nazionali. Ma come fa un AR, che dovrebbe essere super-super partes ad avere delle azioni in società?》

Chi c’è dietro a questo colosso che decide le sorti dei Stati Sovrani? Secondo Lannutti, nel suo libro “Bankster” (2010) si tratta di una sussidiaria internazionale della multinazionale McCrawHill Companies, con sede centrale a New York, gigante delle telecomunicazioni, della editoria, delle costruzioni e presente in quasi tutti i settori centrali economici.

Proprietaria fra gli altri di Business Week, nel 2005 presentava un fatturato di da 6 miliardi e profitti di 844 milioni di dollari.

Il presidente della McCrawHill è Arold McCraw Ill, membro del Board of Director della United Technology (multinazionale degli armamenti) e della Conoco Philips (petrolio ed energia). Tra i membri del Board of Director della McCrawHill, che decidono quindi anche della atttività della S&P, figurano sir Winfried Bishoff, presidente della City Group Europa e uomini di punta della Henry Schodrer Bank di Londra; Dougals N. Daft, presidente della Coca Cola; Ilde Ochoa Brillenmbourg responsabile capo Credit Union del FMI-World Bank; James H Ross della British Petroleum; Edward B. Rust Jr presidente della State Farme Insurance Company (colosso del settore assicurativo bancario e immobiliare; Sidney Taurel presidente della farmaceutica Eli Lylli. 

Le tre sorelle guadagnarono miliardi dando il massimo dei voti a titoli rischiosi, come la banca della Lehman Brothers. Moodys quadruplico i suoi profitti, tra il 2002 e il 2007. Le AR venivano ricompensate sulle basi di rating che davano, più triple A concedevano più erano alti i guadagni della società. Immaginate che due produttori di vino vadano da un sommelier per farsi giudicare la bontà del loro prodotto, a chi secondo voi la valutazione sarà più favorevole? .

Le AR avrebbero potuto interrompere la festa dei titoli tossici aumentando i standard di sicurezza come impone l’etica morale tagliando immediatamente il flusso di denaro nei mutuatari rischiosi, ma questa virtù nel campo economico e finanziario non esiste. Dopo lo scandalo della Lehman Brothers, gli uomini delle AR dissero che le valutazioni di rating sulle società erano soltanto una loro opinione, quindi non dovevano basarsi solo su di esse.

Deven Sharma della S&P "I nostri rating non valgono il valore
finanziario di un azione, la volatilità del prezzo o l'idoneità
dell'investimento"

Alexander Kockerbeck, capo analista di Moody’s per l’Italia fino al luglio del 2012. A detta di Kockerbeck, a partire dalla crisi del 2011 le agenzie di rating hanno deciso di dare un peso sempre crescente, nelle loro valutazioni, ad un fattore che potremmo definire “il nervosismo dei mercati”. Il ragionamento è il seguente: quando i mercati finanziari sono “nervosi” (per motivi anche diversi dalla situazione oggettiva dell’economia di un Paese), aumenta il rischio che quel Paese possa avere difficoltà a collocare i titoli del suo debito pubblico (il cosiddetto fund raising). L’aumento di questo rischio aumenta il rischio di insolvenza del Paese e quindi fa scattare il declassamento da parte dell’agenzia di rating. Questo approccio può determinare un “circolo vizioso” potenzialmente fatale, spiegato chiaramente dallo stesso analista: “Io mi metto davanti ad un investitore e gli dico: secondo me c’è il pericolo che voi non compriate più i Btp italiani, e siccome vedo questo rischio, allora declasso l’Italia di molti gradini. A quel punto gli investitori pensano: siccome l’Italia viene retrocessa, noi i Btp non li compriamo più… ecco la circolarità che può causare una spirale distruttiva.”. Ad onore della cronaca, Kockerbeck espresse a chiare lettere il suo totale disaccordo con questo approccio, ma fu messo in minoranza.



Per quale motivo si sono create tali condizioni politico-finanziarie nei confronti, quasi una soggezione, così umilianti per gli Stati Sovrani. E’ evidente che i giudizi delle tre perfide sorelle sono la conseguenza del disastro della crisi del debito pubblico, con la Germania ossessionata al risanamento delle casse pubbliche e che viene sostenuta dalle AR che orientano le decisioni dei mercati finanziari i quali continuano ad operare indisturbati nonostante la crisi che essi stessi hanno provocato. 
Stefano Sylos Labini nell’articolo “Rating e democrazia” nel sito syloslabini.info 《Siamo arrivati al paradosso che questi mercati, che poi non sono entità metafisiche ma grandi concentrazioni di potere, dopo essere stati salvati dall’intervento pubblico, si sono rivoltati contro gli Stati che costituiscono gli anelli più deboli della catena sabotando le politiche per il rilancio dell’economia. E così, mentre l’espansione del debito privato della fase precedente veniva assecondata senza battere ciglio, oggi la crescita del debito pubblico viene punita implacabilmente》.


Si parla spesso in ambienti più o meno noti o su piattaforme di social network di signoraggio bancario, tema che scatena una miriade di contrapposizioni, ma c’è un altro signoraggio che insindacabilmente ancora più subdolo e pericoloso, cioè il signoraggio intellettuale, politico e mercanteggiante, ovvero il diritto di una nazione di essere trattata secondo verità, il diritto di una nazione di essere proprietaria della propria immagine. 

Seppur indifendibile, è importante rilevare che Berlusconi, anch’egli facente parte della cupola finanziaria-mafiosa internazionale (rimanendo comunque un perdente rispetto alle lobby di potere, questo spiega la perseveranza dei continui attacchi mediatici della stampa estera), ogni tanto qualche verità la dice anche lui e cioè: l’Italia e tutti i paesi esteri, quando vengono valutati dalle AR, dovrebbero essere misurati in maniera più opportuna, sommando sia il debito pubblico che il debito privato che ogni nazione ha nel suo libretto.

Non si capisce il perché queste agenzie esaminano solo una parte del paziente malato, ciò nonostante, l’Italia secondo un articolo del ( qui WSJ) ha una somma debitoria (pubblico e privato) che compete addirittura con paesi come Danimarca, Inghilterra, Norvegia, Olanda, Germania, USA, Giappone. 

Per riuscire a capire il meccanismo della finanza occorrerebbe conoscere le regole della borsa, la quale si basa sulla vendita e gli acquisti di prodotti finanziari. Contrariamente al meccanismo dell’acquisto e la vendita di un oggetto, che anche venduto non perde il suo valore iniziale, anche se il negoziante ha applicato uno sconto, mentre in borsa avviene l’esatto contrario, nel momento stesso in cui si vende il prodotto finanziario perde di valore. Quindi giocando in questo modo le operazioni che ne conseguono sono completamente false ed il controllo dell’economia facilmente governabile dalle speculazioni. E’ palese che attraverso questo gioco si possono svalutare prodotti reali solo vendendo in borsa il suo titolo finanziario, per poi riacquistarlo ad un prezzo ancora più basso. 

Il sistema borsistico ammette di vendere, nelle sue regole perverse, anche allo scoperto, questo permette di vendere azioni che non si posseggono, riacquistandole tre giorni dopo. La speculazione in questo modo prolifera su tutta questa linea. 

A supporto di queste manovre fraudolente ed ingannevoli si inserisce anche la comunicazione ufficiale. Quando si sente di un crollo in borsa del 3%, un crollo vero dovrebbe essere del 80%, cioè nulla, anche perché il valore del 3% è un valore medio. Se in borsa un titolo ha un calo vuol dire che alcune sono scese del 20%, ma altre sono aumentate del 17%. Su questo gioco quando parte l’ordine da parte delle centrali finanziarie di far crollare l’economia, se l’economia è basata esclusivamente sulla finanza e non sulla produzione di beni reali, ai operatori finanziari di vendere sconquassano economicamente un intero paese. Con la collaborazione delle AR, i vertici della finanza mondiale possono controllare, con sistemi ricattatori, una nazione sovrana.

Tutta l’operazione potrebbe tradursi come gli ordini del capo mafia ai suoi picciotti, le AR ubbidiscono sistematicamente al potere finanziario internazionale centralizzato che comprende la city di Londra ed a Wall Street di New York.

E’ chiaro che il regime monetario, in cui siamo sommersi ed infettati, posssa manovrare e determinare a suo piacimento un crollo finanziario. L’Italia purtroppo è stata oggetto di questa speculazione, come l’ordine impartito di far vendere titoli italiani, nel 2011, dalle banche tedesche che detenevano una grossa fetta di debito pubblico italiano. 

La stessa operazione fu fatta da Ciampi, quando Ciampi permise la svalutazione delle industrie italiane tramite la privatizzazione delle stesse, con titoli a basso costo. Questo hanno fatto questi signori all’Italia ed al popolo italiano che ha memoria futura se li ricordino: Ciampi, Draghi, Andreatta, Prodi, Amato.