martedì 6 ottobre 2015

Mazzini e l' Europa

Giuseppe Mazzini, protagonista del Risorgimento Italiano. Personaggio affascinante e carismatico precursore di molte idee progressiste per l'epoca dagli ideali fortemente repubblicani, noto anche per la sua idea di creare un unione tra i popoli europei. Dopo la GIOVINE ITALIA, il progetto mazziniano si fece ancora più ambizioso. A Berna, dopo l'esilio, diede vita alla GIOVINE EUROPA, un'organizzazione transnazionale che nel suo programma che avrebbe dovuto poggiare sulla giovine Italia, guida per i popoli greco/latini, la giovine Germania, che avrebbe tutelato e guidato i popoli germanici e la giovine Polonia per le popolazioni slave. La giovine Europa aveva sede in Svizzera (Berna), successivamente si aggiunsero la giovine Francia, la giovine Spagna e la giovine Svizzera. L'associazione politica si sciolse nel 1836, due anni dopo la sua fondazione e Mazzini fu bandito dalla Svizzera.

Mazzini precursore dell’Europa di oggi? 
Si può considerare Mazzini un precursore del processo di unificazione europea di oggi? A questa domanda hanno risposto alcuni studiosi del pensatore genovese, non molti in verità, e nei paragrafi successivi esporrò in modo particolareggiato le riflessioni di alcuni di loro; pur con alcune differenze mi sembra che abbiano concluso che Mazzini non può essere definito un propugnatore della costruzione di uno Stato Federale Europeo, ciononostante deve essere considerato tra i precursori dell’unità europea perché nel suo pensiero si trovano tutti gli elementi che stanno alla base dell’idea e delle ragioni che conducono alla costruzione dell’Europa. Da parte mia mi sembra opportuno aggiungere alcune brevi riflessioni sul parallelismo che vedo tra Mazzini e coloro che oggi si battono per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa: i federalisti europei. Innanzi tutto occorre dire che esiste una analogia tra il processo di costruzione dell’unità italiana e quello dell’unità europea, mettendo in luce che solo Mazzini ed i suoi seguaci, che costituivano una minoranza tra coloro che propugnavano l’unificazione italiana, erano gli unici ad aver capito che l’unità non si poteva avere se si continuava a difendere l’esistenza e la sovranità degli staterelli italiani; questo era invece il pensiero del partito dei moderati, come il Gioberti che si illudeva di poter costruire una Confederazione italiana che lasciasse sostanzialmente la sovranità di questi immutata. L’unità d’Italia, come sappiamo, avvenne poi attraverso un processo diverso da quello propugnato da Mazzini, ma la sua critica all’idea confederale rimase fondamentale, come vedremo anche più avanti. Anche i federalisti europei di oggi, da Altiero Spinelli in poi, anch’essi una minoranza, sanno che per costruire l’unità europea occorre abbattere il falso mito dell’assoluta sovranità degli Stati nazionali. Senza questo fondamentale passaggio si possono, è vero, raggiungere anche livelli avanzati di integrazione come l’Unione Europea di oggi già dimostra, ma si tratta di un’unità precaria, sempre soggetta a ripensamenti ed opportunismi singoli, e comunque incapace di guidare efficacemente i paesi europei nei momenti di difficoltà. Ne è un esempio il comportamento dei paesi dell’Unione in questo periodo di crisi economica: invece di unire le proprie risorse per far fronte alla crisi ed alle nuove esigenze della globalizzazione, si illudono di mirare al risanamento delle proprie economie e delle proprie società nell’ambito dei rispettivi confini nazionali. C’è un secondo elemento da sottolineare nel parallelismo tra Mazzini ed i federalisti europei di oggi ed è quello della democrazia e della pace nel mondo. Mazzini concepiva l’unità italiana - e con essa anche l’unità di altre Nazioni europee allora non indipendenti - come indispensabile ma pur sempre un mezzo.

Lo scopo finale era la democrazia e la pace di tutta l’Umanità. Questo aspetto del pensiero di Mazzini è stato molto dimenticato dalla cultura “nazionalista” successiva, specie quella fascista, ma è il punto centrale della sua filosofia: non si può capire Mazzini se ci si limita a vederlo solo come un campione dell’unità italiana. È stato invece un campione dell’unità del genere umano, e questo spiega perché abbia avuto seguaci ed estimatori, ancor oggi, in tutto il mondo. È questo il legame con i federalisti di oggi che si battono per gli Stati Uniti d’Europa come primo passo per la federazione mondiale. L’errore che si può imputare a Mazzini
fu di credere che non fossero necessarie istituzioni sovranazionali ma bastasse costruire singole Nazioni democratiche perché ci fosse equilibrio e pace tra i popoli; ma questo è un errore che hanno commesso anche altri pensatori di tutte le correnti politiche, dai liberali ai socialisti, che non hanno compreso che il “nazionalismo” avrebbe poi soffocato i valori di cui erano portatori, a scapito sia della democrazia interna ai singoli stati, sia soprattutto della pace. Gli insegnamenti di Kant “Non ci sarà la pace senza un governo mondiale” sono stati facilmente dimenticati e sono stati ripresi, solo dopo la triste esperienza delle due guerre mondiali, dai federalisti del ‘900 come ad esempio Luigi Einaudi, Altiero Spinelli, i federalisti inglesi di Federal Union e Mario Albertini.
Mazzini e l’Europa: le argomentazioni degli studiosi
Gli studiosi di Mazzini sono numerosi ed alcuni di essi hanno dedicato le loro riflessioni proprio al rapporto tra Mazzini e l’Europa. Ho scelto di esaminare tre autori: Bianca Montale, Giuseppe Tramarollo e Andrea Chiti-Batelli, non solo per l’importanza delle loro riflessioni, ma anche perché tengono ampiamente conto dei lavori degli altri studiosi mazziniani. Bianca Montale ha diretto l’Istituto mazziniano di Genova ed è stata professore ordinario di Storia del Risorgimento presso le Università di Parma e di Genova. Giuseppe Tramarollo è stato Presidente nazionale dell’Associazione Mazziniana Italiana. Ha pubblicato numerosi scritti
relativi all’europeismo di Mazzini. Andrea Chiti-Batelli rappresenta il punto di vista di un intellettuale federalista. Uomo di vasta cultura è autore di numerose pubblicazioni.

Dal saggio “Mazzini e l’idea di Europa” di Bianca Montale.
 Innanzi tutto l’autrice sottolinea giustamente la concezione culturale che sta alla base della proposta politica di Mazzini che “non parla di cultura nazionale, ma europea”. Mazzini conosceva bene molti autori francesi (Voltaire, Rousseau, Condorcet), inglesi (Shakespeare, Byron, Shelley, l’economista Bentam) e tedeschi (Shiller, Schlegel, Goethe). Ne derivava una concezione culturale che gli consentiva di affermare che esisteva una unità morale dell’Europa, concezione che sta alla base della sua proposta politica sovranazionale.

Non riteneva infatti che fosse solo un problema di unità culturale, ma pensava che occorresse agire politicamente per ricercare un’organizzazione nuova che si rivolgesse all’Europa, alla quale l’Italia potesse dare un segnale: “il problema italiano non è isolato da un contesto più vasto a cui è strettamente legato: è un problema europeo”. L’unità italiana, così come l’unità della Polonia e della Germania, non era vista da Mazzini come un obiettivo a sé stante, ma come una tappa di un processo unitario universale, basato non sulla preminenza di una singola nazione (allora molti pensavano alla Francia) ma sul contributo paritario di tutti. È sulla base di questo pensiero che Mazzini fonda la Giovane Europa nel 1834. Al di là di quelle che saranno le effettive realizzazioni, dice Bianca Montale, la Giovane Europa rappresenta il progetto di ordinamento federativo della democrazia europea sotto un’unica direzione, e citando uno scritto del 1835, l’Europa “rappresenterà, come ultimo risultato della nostra epoca, una federazione, una santa alleanza dei popoli…”. Bianca Montale aggiunge, molto opportunamente, che Mazzini aveva ben chiara la differenza tra
“federazione” e “confederazione”, distinzione che non era allora ben chiara né in Italia né in Europa (d’altronde per molti non lo è nemmeno oggi). Egli giudicava criticamente la “confederazione” che conobbe attraverso l’esperienza della Svizzera (fino al 1849 la Svizzera era una Confederazione, poi adottò una Costituzione Federale pur conservando, come ancora oggi, il precedente nome) in quanto lega di cantoni con poteri ed ordinamenti diversi; Mazzini contribuì anche alla modifica della Costituzione svizzera. Nella sua concezione della Federazione Mazzini vedeva invece la possibilità di creare un vero legame tra i paesi europei, almeno nei campi più importanti come la politica economica e la politica estera. E su questi temi che si sviluppa la sua critica ai propugnatori della Confederazione degli Stati italiani, come ad esempio il Gioberti.
Tuttavia, sostiene Bianca Montale, non c’è in Mazzini un chiaro progetto istituzionale europeo: la Giovane Europa come le successive organizzazioni da lui promosse sono soprattutto organismi di collegamento dei democratici europei. La sua priorità non è la Federazione europea ma l’Europa delle nazionalità: “paesi liberi, indipendenti ed animati da ideali comuni, per una missione che è di tutti, di progresso e di pace”. Bianca Montale concorda con autori come Luigi Salvatorelli e Chiti-Batelli (quest’ultimo verrà esaminato oltre)
dicendo che quello di Mazzini può essere definito come “europeismo”, non “federalismo europeo”, al massimo gli si può attribuire una concezione simile alla “Europa delle Patrie”. L’attualità di Mazzini, sottolinea infine l’autrice, consiste nella visione della stretta interdipendenza tra unificazione politica ed integrazione economica, con una federazione di Stati equilibrati economicamente dove la circolazione dei prodotti, della scienza, della tecnica “non diventino monopolio dei pochi, ma si spandano sulle moltitudini a beneficio dei più”.

Dal saggio “La Federazione europea nel pensiero di Mazzini” di Giuseppe Tramarollo
Nel chiedersi se Mazzini possa essere stato o meno un precursore degli odierni disegni di unificazione europea, Tramarollo individua tre fasi del pensiero mazziniano sull’Europa. Nella prima fase, che comprende il momento della fondazione della Giovane Europa (1834), Mazzini identifica l’Europa con l’Umanità; l’Europa non sarebbe che un primo momento dell’ordinamento dell’Umanità intera, quasi come recita uno slogan adottato dai federalisti europei e mondialisti di oggi: “Unire l’Europa per unire il mondo”. Tuttavia Mazzini parla di “affratellamento” e di “associazione” ma non precisa mai gli aspetti istituzionali del suo pensiero. Tramarollo ribadisce, come ha fatto anche Bianca Montale, che Mazzini conosceva bene gli aspetti istituzionali del federalismo e la sua profonda differenza dal confederalismo; innanzi tutto conosceva (cosa rara) gli scritti e le idee dei federalisti americani: Madison, Jay, Hamilton, autori del The Federalist, testo fondamentale scritto per la ratifica della Costituzione federale USA, contro la posizione dei confederalisti che sostenevano invece la sovranità delle ex-colonie; inoltre aveva preso parte attiva alle iniziative della “Jeune Suisse” per la trasformazione in senso federale della allora Confederazione svizzera, cosa che avverrà nel 1849.

E la distinzione tra federalismo e confederalismo gli è ben chiara quando parla dell’unità d’Italia; ancora nel 1848 critica il Gioberti ed altri che propongono una confederazione, una “dieta italiana”; dice Mazzini “una dieta significa al più convegno di mandatari di Stati” gli stessi Stati che dividono l’Italia. La seconda fase del pensiero Mazziniano sull’Europa è individuabile, secondo Tramarollo, a partire dal 1858, con la proposta di costruire un partito d’azione europeo e poi nel 1865 con lo statuto dell’Alleanza Repubblicana Universale che poneva, come condizione per l’affiliazione, l’accettazione programmatica degli Stati Uniti d’Europa. Si passa così, dice Tramarollo, da un generico umanitarismo a una più concreta indicazione europea. Con la formula della Santa Alleanza dei Popoli, Mazzini preconizza un’Europa formata da Stati equilibrati in estensione e popolazione, non più ostili fra loro come accade quando rappresentano interessi di casta e di dinastie, bensì nazioni sorelle perché legate dalla democrazia. Bisogna precisare che Mazzini credeva in un radicale rifacimento della Carta degli Stati d’Europa, basata su un’Europa dei popoli che subentrava a quella dei re, con Stati equilibrati tra loro, non più derivati dal Trattato di Vienna, ma con nuovi accorpamenti come: Spagna con Portogallo; una nazione scandinava comprendente Svezia, Norvegia e Danimarca; una nazione germanica; una confederazione delle Alpi comprendente la Svizzera, la Savoia ed il Tirolo; una confederazione slava; una Grecia comprendente la confederazione dei popoli che formavano l’impero turco in Europa; e naturalmente un’Italia dalle Alpi alla Sicilia. In sintesi si può dire che in questa seconda fase del pensiero di Mazzini vi sia una visione di totale rinnovamento del quadro europeo, reso possibile dall’emancipazione delle nazioni che, non più rivali, avrebbero liberamente costituito gli Stati Uniti repubblicani d’Europa, nel quadro di una futura alleanza universale il cui nucleo esisteva già negli stati Uniti d’America. Nella terza fase del pensiero di Mazzini assistiamo invece alla scomparsa di ogni accenno federale o confederale europeo. Si è ormai costituita l’unità dell’Italia, seppure sotto la forma monarchica, e
Mazzini si pone nell’ottica dei problemi che il nuovo Stato deve affrontare: alla ricerca di un equilibrio tra le varie nazionalità egli si chiede come garantire all’Italia, ed in genere agli Stati minori, una difesa dalle possibili usurpazioni delle maggiori potenze. Per esempio ritiene che sia d’interesse per l’Italia un’alleanza con la famiglia slava, comprendente i gruppi iugoslavo, boemo e polacco. Si propone quindi Mazzini in questa fase di assicurare un equilibrio democratico tra gli Stati più forti e le confederazioni di Stati minori, senza però proporre un’autorità superiore alle singole nazioni che garantisca questo equilibrio, come invece aveva fatto nella seconda fase. Purtroppo la Storia dimostrerà poi come questa Europa delle Nazioni abbia alla fine portato gli stessi problemi, anche aggravandoli, che avevano caratterizzato l’Europa delle dinastie.

Dal saggio “Giuseppe Mazzini” di Andrea Chiti-Batelli
La tesi sostenuta da Chiti-Batelli è sostanzialmente questa: Mazzini non fu un federalista europeo, ma fu un precursore dell’Europa. Non esiste infatti in Mazzini un pensiero “europeo, inteso come convinzione della necessità di una unità sovranazionale del continente, indispensabile per garantire un ordine democratico pacifico e stabile in Europa”. E ciò perché anche in Mazzini esisteva “l’illusione ell’omogeneità”, vale a dire la convinzione che sarebbe bastato che tutti gli Stati fossero democratici e repubblicani per garantire la concordia, la pace ed il progresso, senza bisogno quindi di creare strutture statuali sovraordinate. Si tratta della stessa illusione coltivata da altre correnti di pensiero, democratiche o liberali o socialiste: tutte ritenevano che bastasse avere forme di governo identiche tra i singoli Stati per assicurare automaticamente la concordia e la collaborazione. La Storia ha sempre dimostrato che ciò era illusorio: abbiamo assistito a guerre tra paesi di identica religione o di identico sistema politico, democratici contro democratici, liberali contro liberali, socialisti contro socialisti. Mazzini era invece convinto che fosse solo l’Europa dei principi ad essere bellicosa, mentre l’Europa dei popoli non lo sarebbe stata.
Mazzini non era un federalista, aggiunge Chiti-Batelli, anche perché non concepiva una limitazione della Nazione né verso il basso (federalismo interno) né verso l’alto (federalismo sovranazionale); non verso il basso perché era contrario alla “regionalizzazione” dell’Italia e non verso l’alto perché intendeva l’indipendenza delle varie nazioni europee come sovranità statale assoluta, condizione indispensabile per adempiere alla “missione” cui erano chiamate.
In questo quadro Mazzini pensa alla Giovane Europa non come destinata a promuovere l’unità del nostro continente, ma a favorire la creazione di regimi democratici e repubblicani in Italia ed in ogni paese. Secondo quindi Chiti-Batelli, Mazzini non può essere considerato come precursore del progetto di Federazione Europea, almeno in senso tecnico; al massimo si può dire che propugnasse uno “stato d’animo europeo”, non certo uno Stato continentale. Ciononostante, ed è importante questa osservazione di Chiti-Batelli, Mazzini ha lasciato germi fecondi che ne fanno un precursore dell’Europa e per questo  merita quindi di essere più conosciuto e studiato.
Infatti continua ad essere di attualità la concezione religiosa che egli aveva della “solidarietà tra i popoli”, per la difesa della democrazia e della giustizia, contro la conservazione e contro il culto della ragion di Stato ed il disprezzo dei diritti dell’individuo.
Questa concezione della solidarietà implica l’idea della obbligatorietà morale dell’intervento internazionale contro la pretesa della assoluta sovranità degli Stati. Ne discende che tale obbligatorietà si deve basare su un fondamento giuridico, grazie ad una Costituzione che riconosca un ordine statale sopra gli Stati: ciò vuol dire creare un nuovo diritto internazionale e creare un sistema federale. Il valore e la grandezza dell’insegnamento di Mazzini quindi non stanno tanto nella sua vaga concezione dell’Europa e nemmeno nell’azione europea della Giovane Europa, azione che non ha mai avuto del resto obiettivi sovranazionali. Sta invece, conclude Chiti-Batelli, nella sua convinzione che “la democrazia, la libertà, la difesa della dignità dell’uomo o sono solidali a livello europeo o sono destinati a perire”.
Dall’Europa dell’800 ad oggi
Dopo aver visto, attraverso l’esame di importanti studiosi, gli aspetti più significativi del pensiero di Mazzini sull’Europa, credo sia opportuna anche un’osservazione sui contemporanei di Mazzini. Occorre ricordare che l’Europa della prima parte dell’800 era quella uscita dal Congresso di Vienna, quella del “concerto europeo” che garantiva una forte stabilità tra gli Stati; il ricorso alla guerra aveva un carattere eccezionale.
Questa condizione di equilibrio sostanzialmente pacifico, osserva Mario Albertini, favoriva la convinzione che l’unità europea fosse sicuramente destinata a rafforzarsi e che anche la nascita dell’Europa delle Nazioni avrebbe inevitabilmente aumentato il liberismo internazionale e la collaborazione pacifica.
In questo contesto trovavano spazio anche gli interessi e gli ideali della Chiesa, per loro natura eminentemente sovranazionali, ed il Gioberti si fece promotore di questo pensiero. Era quindi diffusa tra gli intellettuali promotori dell’unità italiana, sia i moderati, sia i più rivoluzionari mazziniani, l’idea che l’Europa, pur articolata in Stati sovrani, avrebbe in qualche modo assicurato un sistema politico unitario, indipendentemente dalla creazione di istituzioni statuali sovranazionali. L’unico autore critico di questa posizione fu Carlo Cattaneo, che sapeva che senza istituzioni adeguate l’equilibrio tra gli Stati non avrebbe potuto essere garantito. “Avremo pace vera quando avremo gli Stati Uniti d’Europa” è la frase di Cattaneo che sintetizza la sua posizione federalista. Si può quindi affermare che in tutte le componenti del Risorgimento italiano fossero ben presenti gli ideali sovranazionali.
E gli ideali Mazzini, come abbiamo visto, erano sicuramente ideali sovranazionali, come compendia la sua frase “La Nazione è il mezzo, l’umanità è il fine”. Quando cambia questo modo di vedere le cose? Raggiunta l’unità italiana - anche se, come sappiamo, attraverso un processo che vide Mazzini emarginato – il nuovo Stato si trovò in un contesto europeo modificato, dove altri Stati operavano per un loro rafforzamento, anche militare, Germania e Francia in particolare: per l’Italia fu necessario seguirne l’esempio, farsi potenza tra le potenze.
Secondo Albertini è in questo momento che si passa da un diffuso sentimento sovranazionale europeo alla concezione “nazionalistica”, all’abbandono cioè dell’idea, specie mazziniana, della Nazione portatrice di valori di pace e di fratellanza: è la Nazione stessa che diventerà un valore a se stante, che soffocherà e sottometterà gli stessi valori democratici, liberali e socialisti. Fu così che non nacque l’Europa sognata da Mazzini, ma quella che portò all’esasperazione del nazionalismo e successivamente anche alla tragedia delle due guerre del ’900.
Non sempre la lezione della storia è sufficiente. Ancor oggi, ovunque nel mondo, domina l’idea della inviolabilità della sovranità nazionale e il ruolo dell’ONU viene frenato da questo falso mito, sempre più inadeguato di fronte alle esigenze di un mondo fortemente integrato: dalle tematiche ambientali, a quelle economiche, a quelle sociali, e soprattutto dalla necessità di evitare conflitti armati.
Analogamente in Europa, dove fortunatamente è in corso un processo di unificazione molto avanzato, unico esempio nella storia umana, la pretesa della sovranità nazionale viene purtroppo sempre invocata e costituisce un freno alla completa realizzazione della sua unità politica. Se ciò non cambierà, il mondo continuerà ad essere nella condizione di perenne anarchia internazionale e gli ideali che furono di uomini come Mazzini non riusciranno ad affermarsi.

Centro culturale "Il Tempietto" Genova






giovedì 1 ottobre 2015

Riserva di lavoro




L'Europa deve accettare i migranti per preservare la sua forza lavoro da una contrazione ulteriore. Abbiamo bisogno di più lavoratori per accelerare la ripresa. 
Vitor Costancio (vice presidente BCE)


Facciamo un ragionamento macroecononcio se parliamo di politica e di immigrazione. In Europa oggi ci sono circa 300 milioni di lavoratori e sono quelli che hanno una serie di diritti. Da una parte c'è un mondo in una situazione disastrosa, pensiamo all’Africa, all’Asia, dall'altra i centri di potere, le grandi banche, le grandi finanziarie, i padroni veri dell'Europa.

Tutte queste entità hanno bisogno che questi lavoratori abbiano meno diritti, per massimizzare i profitti. Cosa devono fare per adottare questo? Nelle sponde dell’Africa ci sono 100 milioni di persone dai 15 ai 35 anni, disponibili a venire in Europa a fare qualunque lavoro, perché qualunque cosa facciano qua, stanno meglio che la, con tutto il disastro che sappiamo. 

L'Europa favorisce questo perché come diceva Marx quello è un esercito industriale di riserva, finché c’è un esercito industriale di riserva, i diritti di quelli che lavorano possono essere sopraffatti. Cosa si può fare? Una scelta del razzismo e della xenofobia o quella invece di rivoltare il guanto?

La sinistra ha pensato ai diritti individuali borghesi degli immigrati includendo perfino la moschea. Cosa ce ne frega della moschea se fino a quando il lavoratore immigrato non ha lo stesso diritto sociale e sindacale del lavoratore italiano viene visto dal lavoratore italiano, obbiettivamente, come un nemico. Per cui non bisogna arrestare l'immigrato, bisogna arrestare quello che gli da lavoro.

Questa non è un operazione di un imprenditore o il piccolo artigiano messo al muro, il problema è più globale di una spinta alla volontà dell’immigrazione. Una spinta che viene dall'Europa, perché serve a distruggere le rigidità del mondo del lavoro, dei diritti dei lavoratori. 

Queste persone vengono usate come esercito industriale di riserva per abbattere le condizioni dei lavoratori. Pensiamo ai tassisti. I tassisti conservano una loro dignità di lavoro, se arriva un ricco un grande padrone che compra 10.000 tassì a Milano o a Roma, ci mette dentro 10.000 marocchini e gli da 600€ al mese, questi sono contenti. Sono contenti perché dormono dentro l’automobile e fanno più o meno, certamente più malamente, un servizio di tassì. Questa è la società in cui noi stiamo andando, o mettiamo in discussione il modello societario oppure la politica può parlare delle piccole cose e delle briciole. 

Occorre provare a spiegare una cosa, questo modello, questo sistema che c’è in Europa, che c’è nel mondo è un sistema decisamente in crisi. Ci sono due linee di chi davvero detiene il potere che sono organismi non eletti, la Troika, l’FMI, BCE; organismi che influenzano davvero il corso degli eventi. Una linea è quella di spremere la mucca fino a farla praticamente, morire, ed è quello che è successo in questi anni, poi c’è una seconda linea, di questi benefattori, che dicono che non bisogna esagerare,

se la mucca muore salta tutto con qualche rischio. Queste sono le due linee che si combattono, quindi, da un punto di vista teorico, potremmo dire che chiamiamo capitalismo questa roba qua? Una volta il capitalismo organizzava il consenso, oggi si è raffinato, organizza anche il dissenso. Dissenso che si chiama Podemos in Spagna e Sypras in Grecia, ma non hanno nulla da temere, in quanto se avessero davvero da temere oggi i mercati crollerebbero. I mercati non crolleranno, non succederà nulla. Perché molto semplicemente Sypras sta dentro questa ipotesi, la politica non conta quasi più nulla, la politica è di supporto a questa grande economia e quella politica lì non rompe, per cui è chiaro che dal punto di visTa della propaganda è stato detto tutto e l’incontrario di tutto. Tra l’altro in Grecia c’è un forte partito comunista che fa grandi mobilitazioni, queste mobilitazioni sarebbero indirizzate davvero al cambiamento dei rapporti di forza del Paese. Intelligentemente questi meccanismi di potere sovranazionali abbiano detto “Ma in Grecia sta per saltare tutto, ci sono i comunisti che mobilitano centinaia di migliaia di persone”. C’è questo ragazzotto bello, capace, rampante per niente stupido e leggo sui giornali - Sypras, "Io come Renzi, cambieremo verso all’Europa, la nostra sintonia è naturale”. Adesso cosa succede? Ci saranno i nostri sinistrorzi, perché c’è un popolo di tifosi davanti al televisore, guardano Santoro, guardano Floris dicono che sei stato bravo che hai detto quello e quell'altro ecc. ecc., fanno una manifestazione l’anno, sono tutti molto attenti a tutte queste dichiarazioni, questi qua non cambieranno nulla. Diciamo che, la tolla di comando che schiaccia i salari non ha da temere nulla, perché questa narrazione, il capitalismo, è bravissimo a farlo, il capitalismo è bravissimo a manipolare le proprie responsabilità. Quindi trova in uno come Sypras la possibilità di fare tanto rumore per nulla. 

Pape Diaw - immigrazione -

Ricordiamoci anche che la Grecia è l’1,8% del PIL europeo, usata precedentemente come grimaldello, ovvero laddove non ci sono politiche di rigore si schiacciano i pidocchi, facendo vedere cosa accade, per colpire l’Italia, per colpire la Spagna, che sono economie e Paesi ben più grandi. L’1.8% del PIL è come se a Roma in via del Corso sta per fallire un negozio, fanno una colletta e chiudono lì, la Grecia ha lo stesso parametro. I margini del riformismo con personaggi di Sypras e Podemos non si possono più fare, perché c’è la caduta tendenziale del profitto, perché c’è una crisi quasi irreversibile di sistema, quindi ad un certo punto l’alternativa, che ci troviamo davanti, non è tanto no euro o si euro, il problema è cambio di sistema, in un sistema socialista. Fate attenzione che le televisioni ed i suoi commentatori dicevano “In realtà Sypras non sta dicendo che farà il socialismo, ma dice cerchiamo di uscire dalla crisi”. Ma quei margini di riformismo lì sono finiti, farà come Bertinotti quando chiese a Prodi le 35 ore di lavoro, l’altro gli rispose, te le do con un disegno di legge. Le stesse parole che si usano oggi per Sypras, si usavano qualche anno fa per Hollande, l’avete visto il rivoluzionario, mesto e tapino in mezzo alle potenze del mondo? Sypras farà la stessa fine. Il capitalismo mondiale può stare tranquillo, d’altronde loro lo sanno di essere tranquilli. 

Riassunto dei vari interventi televisivi di Marco Rizzo (PCI)