Si parla ormai di fallimento della Comunità. C’é chi raccomanda di tornare indietro all’Europa delle patrie.
Ma non é pensabile che la via d’uscita dalla crisi della Comunità europea possa consistere nel ripiegamento di ogni singolo stato sulla sua peculiare identità.
Una frammentazione dell’Europa in Stati nazionali costituisce, contrariamente a quanto avvenne nel secolo scorso, un freno allo sviluppo, alla crescita della civiltà in Europa e anche alla crescita della civiltà su tutto il pianeta.
L’Europa dei popoli e dei lavoratori é l’unica Europa possibile.
(Enrico Berlinguer, Intervista a Critica Marxista, 1984)
Ognuno di noi vorrebbe un'Europa che, attraverso una nuova carta costituzionale, garantisca pace nella fraternità e sviluppo economico nella solidarietà tra i popoli. Un'Europa unita, sempre più integrata e capace di rappresentare, verso terzi, una realtà con precise caratteristiche socio-culturali, cercando, spesso, di difendere gelosamente le identità etniche, religiose, economiche e culturali del proprio Paese.
Forse la soluzione migliore sarà quella di guardare ad una grande e unica nazione, all'interno della quale salvaguardare le caratteristiche regionali. In questo caso si affievoliranno i confini nazionali e i concetti di patria, ma l'Europa dei popoli continuerebbe a vivere tra mito e realtà, facendo i conti con il superamento degli egoismi nazionali per dotarsi di politiche comunitarie unitarie e coordinate, a cominciare dalla politica estera internazionale.
Sono passati oltre 50 anni da quando i padri fondatori dell'Unione Europea (Adenauer, De Gasperi e Schuman) iniziarono il mitico cammino unitario dell'Europa dei popoli. Dall'originario e fortunato Mercato comune tra sei stati nel 1957, fino alla Unione Europea di oggi, Paesi appartenenti sia all'ovest che all'est del nostro continente.
Si ricorda che l'Unione europea ha una lunga storia di antiche e moderni nazionalismi, secoli ricorrenti di conflitti e differenti esperienze e sistemi politici, giuridici e sociali.
Oggi un Europa non giuridica, ma unita solo da interesse economico vivono circa 500 milioni di cittadini europei, con venti lingue diverse, sono destinati a convivere sotto le stesse leggi determinate da un Consiglio europeo che riunisce i capi di Stato e di governo, chiamato ad affrontare e risolvere le disparità e ad armonizzare le politiche comunitarie sul piano economico, monetario, occupazionale, sociale e internazionale.
Il rapporto di noi italiani con l'Europa, che abbiamo ora sotto i nostri occhi, assomiglia a volte a quello di un innamorato che, a fronte di tanti sogni, si sente deluso o trattato con freddezza dalla sua bella. Resta il fatto che gli eurocrati di Bruxelles, con le loro normative, non solo mirano a rafforzare la moneta unica, ma corrono il rischio, dal punto di vista economico, di perdere di vista la vera sfida politica visualizzando un orizzonte di vasto respiro per essere protagonisti credibili sullo scenario mondiale.
Ci interroghiamo pertanto su come procedere in questa direzione e quale messaggio di speranza trasmettere ai cittadini italiani-europei. L'Unione Europea sollecita tutti i Paesi aderenti a grandi e comuni responsabilità; è una comunità di destini tra i popoli, che condividono valori istituzionali, regole, interessi economici e di sicurezza. Dobbiamo essere convinti che non è tanto un'alleanza di Stati, quanto una nuova unità di popoli, che dovrebbe essere fondata sulla Carta Costituzionale Europea.
Stare dentro l'UE significa unità di popoli, uniti non soltanto da interessi di mercato (politica agricola, fondi per lo sviluppo regionale e altre norme del mercato unico), ma dalla loro adesione ai valori comuni e che intendono dare un'immagine nuova, suscitando l'orgoglio di appartenere all'Unione Europea, superando gli egoismi nazionali.
I popoli europei vogliono, infatti, una risposta alle loro preoccupazioni: giustizia sociale, occupazione, sicurezza, politica migratoria umana ma controllata, invecchiamento; vogliono un'Europa che abbia un peso di fronte ai giganti come Stati Uniti, Russia, Cina e India. Non si tratta di avere rapporti conflittuali con quei paesi, ma d'essere alla pari e difendere i nostri interessi; vogliono un'Europa che proponga un'altra mondializzazione dove il libero scambio e la competitività di mercato siano al servizio dell'uomo e non l'inverso; che proibisca il dumping sociale e il lavoro dei bambini; che protegga l'ambiente e che consenta lo sviluppo dei Paesi poveri. L'Europa contemporanea propone un avvenire diverso.
Oggi assistiamo ad un Europa senza regole, governata dagli Stati più forti, debole e ingovernabile sotto il profilo politico, trasformandosi in un baraccone imponente, economico e commerciale, privo di rappresentatività e autorità politica, essendo simile ad un vaso di coccio fra il gigantismo americano e il gigantismo cinese. Si dovrà allora ricorrere ad una fase nuova per consolidare un nucleo omogeneo di Stati, uniti da esperienze politiche e tradizioni comuni e, quindi, capaci di soluzioni condivise.