domenica 24 gennaio 2016

Lavoro intermittente

Un pezzo di carta su due è da buttare. O, meglio, è da lasciare nel cassetto per almeno tre anni. È questo il triste destino dei laureati italiani che, nel 47% dei casi, non trovano un impiego se non dopo 36 mesi dal conseguimento del titolo di studio.
Un dato decisamente allarmante che fa precipitare ancora una volta l’Italia in fondo alla classifica Ue. A rivelarlo sono le statistiche Eurostat che riportano invece una media dell'Unione europea su 28 Paesi, nel 2014, pari all'80,5%. L’Italia resta sotto di quasi 30 punti percentuali per quanto riguarda l’educazione terziaria, considerando gli studi che vanno dalla laurea breve al dottorato. Peggio solo la Grecia mentre in prima posizione c’è la Germania con il 93,1% dei laureati.
Ancora più seria è la situazione dei diplomati tra cui, a 3 anni dal conseguimento del titolo di studio, trova un impiego solo il 30,5% contro una media europea del 59,8%.
La differenza si impenna rispetto ai dati della Germania che, tra i diplomati, vanta un tasso di occupazione entro i 3 anni dal diploma pari al 67%. Per i professionali la percentuale si alza al 40,2%.
La riforma della Buona Scuola, del ministro Stefania Giannini, risponde alla crisi dell’occupazione con l’alternanza scuola-lavoro negli istituti tecnici e professionali e nei licei creando un collegamento tra le scuole e il mondo delle imprese. Ma, al di là del tipo di studi svolti, nel 2014 la percentuale di giovani tra i 20 e i 34 anni con un impiego era del 45% contro una media europea del 76.
Il calo dell’Italia, scesa di 20 punti passando dal 2008 al 2014 dal 65 al 45%, è dipeso dalla crisi economica e dalla stretta sui pensionamenti. Nello stesso periodo la media Ue è scesa però di soli 6 punti, dall’82% al 76%. Crisi a parte, in Germania la media dei giovani occupati è del 90%, il doppio rispetto all’Italia, in Inghilterra è dell’83,2% e in Francia è del 75,2%. 
Fonte il Mattino del 6 gennaio 2016



Un indagine su scala nazionale sugli sbocchi professionali dei laureati delle università italiane sugli anni accademici analizzati 2007/2010, sia per quanto riguarda le lauree triennali, sia per quanto riguarda le lauree specialistiche, i dati emersi sull'intero popolo dei laureati (i dati che diffonde l’ISTAT sono basati su un campione soltanto di 300.000 famiglie, che su 24 milioni di lavoratori è abbastanza poco) che trovano un occupazione a tempo indeterminato sono meno del 10%, 16,7% sono quelli che lavorano in tirocini gratuiti, tutto il resto il 73,3%, è occupato con vari contratti: contratto a tempo determinato, contratto di inserimento, contratto di apprendistato oppure i contratti a progetto, che sono quelli in assoluto i più diffusi. 

Quindi da questo punto di vista si ha un idea di qual’è oggi il mercato del lavoro italiano per le persone che studiano. Un altro elemento importante è quello di vedere quanto guadagnano questi giovani che entrano nel mercato del lavoro, con redditi che oscillano tra gli 800 e i 1.000 € netti mensili. Il percorso lavorativo dei laureandi italiani è abbastanza pieno di imprevisti, si incomincia con un stage gratuito che può durare da 3 a 6 mesi e qualche volta anche di più. Se gli va bene e l’imprenditore è contento porta a casa un assunzione di 500 € netti al mese per sei mesi, poi se supera questo ostacolo un contratto annuale e rinnovabile che all'inizio viene pagato con una retribuzione di 800 € al mese. 

La sensazione che da questo precariato, cioè la determinazione di avere un tipo di rapporto di lavoro sono sostanzialmente incerti, possono finire, possono andare avanti; ossia se un azienda utilizza molto i tirocini gratuiti, con la casuale che questo è un periodo di formazione, il giovane impara tante cose e alla fine verrà assunto. Nell'indagine invece si è notato, molto spesso, che in realtà alla fine del tirocinio gratuito l’azienda ne prende un altro. Il giovane che pensa di poter entrare dentro un meccanismo di assunzione, molto spesso viene deluso.

C’è da dire, oltretutto, che per aumentare il degrado di questo mercato del lavoro, adesso anche l’università si sono messe a fare da intermediario di mano d’opera. Caso emblematico di una donna, separata, con due bambini, che forniva servizi per una società di ricerca, a partita IVA, è stata messa sul lastrico, non gli hanno dato più lavoro perché la società aveva fatto una convenzione con l’università che gli forniva degli studenti gratuitamente, in grado di fare lo stesso lavoro della donna.

Ci troviamo in una situazione del mercato del lavoro molto fragile, molto debole che crea fortissime preoccupazioni, ma soprattutto si diffonde una pericolosa mentalità, il lavoro schiavizzato. Questa questione del lavoro gratuito, come si diceva, è in una fase di espansione enorme, della quale i giovani accettano come una cosa naturale, con i sindacati che ignorano completamente questo problema non affrontando in modo esaustivo questa tecnica schiavistica del mercato del lavoro. Capisco che le aziende possano servirsi, per un certo periodo, di tirocini gratuiti, però questo periodo non può essere esteso per un anno, un anno e mezzo non mantenendo la promessa di inserire la persona all'interno della macchina dell’azienda, ma sostanzialmente buttarla fuori ed assumerne un altra sempre gratuitamente. Su questo tipo di andazzo si dovrebbe alzare delle barricate, o per lo meno essere frenato, ci sono dei limiti essenzialmente.

Un altro dei problemi grossi che hanno i giovani che si trovano con la laurea in mano ad affrontare il mercato del lavoro, come è risaputo, molti di questi fanno dei lavoretti, ma oggi la morale dei pagamenti è molto cambiata rispetto ad alcuni decenni fa, ossia il pagamento delle prestazioni di lavoro che i ragazzi svolgono non vengono pagate, in moltissimi casi, infatti, in questi lavoretti non esiste un contratto, ma solo un accordo verbale, questo vale anche per i professionisti affermati. Quindi anche questo mercato del lavoro nelle quali le figure dei lavoratori professionali, che stanno crescendo, ed ovvio che stanno crescendo perché quando una persona si è laureata ed incomincia a sparpagliare i suoi curriculum e dopo un anno o due anni ancora non ha trovato qualcosa di soddisfacente, è chiaro che si prova la strada del lavoro professionale autonomo. Se si guardano le statistiche laddove una volta il lavoro professionale autonomo era limitato ad un numero abbastanza ristretto, oggi ci sono almeno un milione e mezzo di persone in Italia che appartengono a professioni, da specificare, non iscritte a nessun ordine. 

Che cosa succede a questo punto, credo che ciascuno di noi conosca dei giovani architetti, dei giovani medici, dei giovani ingegneri che incominciano ad entrare nella professione se la passino molto bene. Succede di fatto che questi giovani laureati lavorano per anni facendo praticantato nei studi di avvocatura ecc, tenendoli sempre sulla corda, ed in molti casi non riuscendo nemmeno a pagare i contributi per le casse private. Anche questo mondo delle libere professioni sia avvia a soffrire, si avvia ad avere uno strato di professionisti stabilizzati, che guadagnano bene ed uno strato di professionisti che non riescono ad uscire da questa situazione.

Come si può osservare all'interno del lavoro operaio oggi, dove si riproduce di nuovo una circostanza di dualismo intorno alla quale una situazione di generazione operaia è cresciuta negli anni in cui la garanzia del posto di lavoro, comprensiva ad una serie di altre garanzie erano un dato di fatto, si pensi al grande salto del sistema pensionistico, da un sistema retributivo ad un sistema contributivo. Si passa da una situazione ad una situazione dove si riscontra una crescente precarizzazione, questo è tipico dell’Italia o è proprio di altri paesi? La Germania è un paese che malgrado la crisi continua ad andare bene, ha un PIL che cresce costantemente, ha un occupazione discreta, un tasso di disoccupazione accettabile, ha soprattutto una forza sul mercato mondiale che le consente di essere il secondo esportatore mondiale dopo la Cina. 

Questo è stato possibile perché il capitale tedesco ha fatto il suo dovere, che non ha fatto il grande capitale italiano, ad esempio il capitale tedesco ha investito in tecnologie anche durante la crisi, in particolar modo l’industria dell’auto, oggi la Germania esporta le sue auto in tutto il mondo. Paragoniamo questa narrazione tedesca con la storia della FIAT. In una trasmissione televisiva, se non ricordo male Piazza Pulita, c’èra un giornalista del Corriere della Sera, persona stimabilissima, Massimo Mucchetti che parlava del fatto che Marchionne sia uscito dalla Confindustria relazionandosi con gli altri ospiti. La discussione era pro e contro la decisione della Fiat, Mucchetti alza la mano e dice: “Voglio dire una cosa, primo il signor Marchionne non ha presentato ancora un piano industriale, non un piano industriale credibile, un piano industriale. Secondo gli azionisti FIAT non tirano fuori un solo Euro da almeno 10 anni. Terzo il centro ricerche FIAT ha fatto delle innovazioni straordinarie come il common rail, questi signori invece di investire e sviluppare queste innovazioni, battendo la concorrenza, se le sono vendute per un tozzo di pane. Quarto, i titoli azionari FIAT sono titoli di fatto spazzatura. Quinto se la FIAT dovesse consolidare il suo ingresso nella Chrysler, dovrebbe tirarsi in pancia un buco di 4 miliardi di Dollari del fondo pensioni”

Esaminando questa storia e l’idea che questo signor Marchionne venga ancora a dire che è colpa degli operai, quando loro per primi non hanno fatto il loro dovere e l’unica cosa che sa fare la FIAT mettere le mani nelle tasche dei contribuenti per poi tagliare la corda, uno dei grandi scandali del paese Italia. Questo Paese va avanti perché ci sono le piccole e medie industrie dove la gente si ammazza di lavoro per andare avanti, compreso il titolare. Queste grandi aziende che succhiano una serie incredibile di risorse allo Stato, veramente hanno creato il declino di questo Paese, e il motivo è che non hanno semplicemente investito. 

Questa è la grande differenza tra l’Italia e la Germania in molti settori, come ad esempio come noi abbiamo distrutto la chimica. L’Italia negli anni ‘80 e l’inizio degli anni ‘90 era leader in certi settori della chimica, grandi società come l’Olivetti sono diventate società di telefonini. La storia dell’industria italiana in questi ultimi anni è una storia veramente di vergogna. Allora in Germania è una narrazione di paradiso? Non è vero, la Germania nel 2002, quando c’era al governo Gerhard Schröder, il cancelliere affermava chiaramente che la Germania non era in grado di competere a livello mondiale con il suo costo del lavoro, ergo noi facciamo un secondo mercato del lavoro. Se la Germania fino adesso aveva degli operai che venivano pagati 15/20 € l’ora, dobbiamo arrivare al punto, come oggi sono arrivati, un segmento degli operai vengono pagati 3 € l’ora. Infatti se voi andate all’interno delle fabbriche delle automobili troverete più o meno un 50% della forza lavoro che appartiene a questo settore non garantito e flessibile di fronte alla componente tradizionale che è una componente di sicurezza sociale molto elevata. Perché i tedeschi sono riusciti a gestire questa cosa e noi non siamo riusciti a gestire? Perché loro possono gestire la flessibilità e noi non siamo stati capaci? Ma è ovvio, perché i tedeschi accanto a questo secondo mercato del lavoro hanno tutto una serie di ammortizzatori sociali mediante i quali lo Stato reintegra una parte di questi bassissimi salari e li rende, non dei buoni salari, minimamente tollerabili. Quello che è incredibile nel nostro sistema è che noi abbiamo flessibilizzato e precarizzato il lavoro senza avere un minimo ammortizzatore sociale. Quindi noi abbiamo ammortizzatori sociali della cassa integrazione, per un certo tipo di forza lavoro, ma per questo tipo di forza lavoro non c’è nessun straccio di ammortizzatore sociale, nessun straccio di disoccupazione compreso il jobs act. 

E’ chiaro che la flessibilità del lavoro ad un certo punto è quasi inevitabile per reggere la competizione internazionale, ma è socialmente insostenibile se accanto a questa flessibilità non interviene lo Stato con una serie di ammortizzatori, è assolutamente insostenibile. Oggi tutto il peso ricade sulle famiglie, il welfare italiano sono le famiglie, con una situazione ormai arrivata quasi ad un punto di criticità, non sapendo quando potrà andare avanti. In comune fra i Paesi tra cui la Francia, la Germania e così via, quasi certamente scoppierà una bolla che manifesterà i suoi effetti devastanti. Una bolla di coloro che vanno in pensione con il sistema contributivo, ma al tempo stesso hanno avuto una vita lavorativa irregolare, quindi non avendo potuto pagare i contributi regolarmente scoppierà (fra 20/30 anni) una bolla di povertà, una bolla di generazioni che entreranno nel mondo del sistema pensionistico che avranno delle pensioni da fame.

Sommando le nuove discipline di lavoro, rispettivamente precariato e flessibilità, alle proiezioni dell’età media dei 35/50 anni qualcuno incomincerà a pensare quando andrà in pensione, e continuando a pensare che lavorino sempre e versando i contributi che oggi versano andranno in pensione con 600/700 € al mese. Quindi ci si prepara ad una situazione del futuro dell’Europa piuttosto critica, non sapendo bene cosa potrà succedere con gli Stati non essendo in grado di finanziare questa bolla di povertà in maniera diversa. Come può essere interrotta questo stato di cose? E’ chiaro chi ha delle formule salvifiche racconta delle grandi balle, la cosa di cui oggi, purtroppo, assistiamo è che non esistono ne delle formule di gestione della crisi applicabili a livello economico e pubblico.



Nelle teorie economiche negli ultimi 100 anni c’è ne stata, forse, solo una che esplicitamente ha detto che tale teoria è quella di superamento della crisi, cioè la teoria keynesiana. Ora nella teoria keynesiana tre erano gli assi fondamentali. Per uscire occorre adottare degli strumenti di carattere fiscale, di carattere monetario in modo da far riprendere l’occupazione. Mentre il carattere fiscale può essere applicato da uno Stato, la tragedia oggi è che lo strumento di carattere monetario è difficilmente applicabile, nel senso che gli Stati non sono più in grado di gestire la massa monetaria. Le motivazioni sono che ci sono potenze al di sopra di qualunque controllo, un po' le agenzie di rating, un po' le speculazioni internazionali che sono più forti di qualunque banca centrale, compresa la BCE. Quindi se oggi la BCE decide di rifinanziare le banche, di rimettere liquidità nel sistema, basta di nuovo che un agenzia di rating declassi l’affidabilità di un Paese si creerà di nuovo uno squilibrio dietro il quale la BCE sarà costretta a rincorrere. Quello di cui si assiste oggi, il dramma di oggi, gli Stati hanno perduto Sovranità. Non è che hanno perduto Sovranità rispetto ad un ente superiore, hanno perduto Sovranità tutte le istituzioni di regolazione economiche e finanziarie. Gli anni precedenti se ne è potuto vedere chiaramente gli effetti, sia la Federal Reserve che la BCE sono comunque condizionate dalla speculazione internazionale, questo è l’origine di questo sistema marcio che nella strumentazione tecnica in mano al sistema capitalistico, oggi qualora l’ha volessero applicare non è detto che siano in grado di applicarla. Non è detto che gli Stati europei decidono di puntare di nuovo sullo sviluppo e non facciano sempre la politica dei tagli e il risanamento del bilancio. C’è da dire che se si fa solo quello siamo perduti, se noi continuiamo a tagliare e basta non abbiamo nessuno strumento per rilanciare l’economia, è chiaro che siamo perduti. Contrariamente in moltissimi casi gli Stati fanno esattamente questo, tagliare. Per dare un aiuto concreto alle figure deboli del mercato del lavoro, non sono la maggioranza, ma stanno diventando la maggioranza, è quello di riprendere tutta la storia del mutualismo operaio dElla fine dell’800 in poi. Questa è una situazione tipica in cui bisogna ritornare nelle forme nelle quali il mutualismo rappresenta di nuovo un elemento di solidarietà. Su questo fronte di un mercato del lavoro che diventa sempre più intermittente occorre costruire un nuovo welfare, però, purtroppo di passi evidenti in avanti non si vedono. Alla fine se ci sono riusciti degli operai semianalfabeti dell’800 sono riusciti a costruire una società solidale creando case del popolo, hanno creato istituzioni, hanno creato cooperative di consumo, hanno creato tutto questo movimento, è impensabile che oggi non siamo capaci di farlo con delle persone che hanno delle esperienze di specializzazione superiore ha quello che avevano gli operai di un tempo.