domenica 30 settembre 2012

Diaz esentata


Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello. Mandato di arresto europeo, un corpo di polizia che sta per nascere. Che cosa sta succedendo, non solo in Italia, ma in tutta Europa. Iniziamo a dire che la maggior parte delle persone non è informata su questo trattato di Velsen che include le polizie di Europa, un corpo super specializzato e super segreto, con poteri pressoché illimitati. Un problema di disinformazione terrificante, il mandato di arresto europeo è una decisione quadro del 2002, ed è una legge italiana operante nello stato italiano dal 2005. Nonostante questo si continua a tenere l’opinione pubblica all’oscuro di tutto. L’opinione pubblica non è a conoscenza del tipo di problematiche e non è a conoscenza di tutte le tematiche che ruotano intorno all’unione europea.
Purtroppo quando si parla di unione europea c’è sempre e solo questa propaganda becera, vuota filoeuropeista fine a se stessa, che non permette al cittadino di formarsi un opinione, di informarsi, di sapere. Se il cittadino non ha un informazione non può partecipare, e senza partecipazione non c’è democrazia. Quando si parla di unione europea, il cittadino sta subendo in modo non democratico, delle situazione in cui il popolo non ha la possibilità di partecipare perché nessuno ci dice che cosa realmente sta succedendo.
L’episodio del mandato di arresto europeo in questo senso è clamoroso, se vogliamo quello della polizia europea è ancora più eclatante, questa polizia europea esiste, esiste già da due anni, fa delle cose, agisce, opera e nessuno lo sa. Questo tema della polizia europea è un tema il cui il pensiero unico e la cultura ufficiale sono spaventosamente condizionati, per cui il messaggio che passa che tutto ciò che viene dall’europa è bello, è buono e giusto, in quanto tale non si mette in discussione. Per carità in questi ultimi tempi le cose stanno cambiando, si sente parlare che le società di trading non sono più dei messia, quindi si comincia a mettere in discussione i ruoli della BCE. Tuttavia però, siamo ancora molto lontani dal capire che cosa l’unione europea sta facendo delle nostre vite e sulle nostre teste. Possiamo solo immaginare che quello che sta succedendo sia così pazzesco, così folle, ciò nonostante tutte le decisioni che si susseguono è inserito in un percorso, in una strategia di rendere i popoli sempre più sottomessi ad un PIL senza fine. Ormai il trattato di Velsen è stato ratificato nel giugno 2010 dal camera e dal senato, quindi ci troviamo con una legge ben consolidata: LEGGE 14 maggio 2010, n. 84 - Ratifica del trattato di Velsen (Eurogendfor)
Se leggiamo quali sono i compiti della nuova polizia europea previsti dell’art. 4 c’è davvero di preoccuparsi. Innanzitutto diciamo che la cosa che suscita molti dubbi è che praticamente sono stati unificati le polizie militari europee, quindi in Italia abbiamo il corpo dei Carabinieri, ma molto probabilmente se esiste il progetto di unificare tutti i corpi militari in questa Eurogendfor, è ovvio che l’arma dei Carabinieri è destinata a sparire. Era naturale che nell’ambiente del corpo ha gettato un certo allarme. Nel 2010, subito dopo la firma del trattato, c’è stata un interrogazione parlamentare al ministero della difesa, di cui nessuno ancora risponde a questa interrogazione. Recentemente, il 5 gennaio 2012, sul sito dei carabieri, è apparsa di nuovo questa notizia, dove si dice che l’unione europea impone la smilitarizzazione della quarta forza armata. E’ evidente che diventa sempre più concreta il disfacimento della benemerita, quello che per anni è sempre stata un simbolo dell’Italia. Ritornando all’art.4 in cui si descrive i compiti di questa super polizia: guidare e super visionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi compresa le attività di indagine penale. Per polizie locali non si intende la polizia municipale, ma si intende la polizia di stato, addirittura questa forza controlla ciò che fa la polizia di stato. Potrebbe sembrare una cosa normale, secondo il trattato, però va detto che questo nuovo corpo non risponde a nessun potere della magistratura. Cominciamo un poco a capire come può essere delicata la questione. Non solo questa Eurogendfor non risponde a nessun parlamento nazionale, ne a quello europeo, continuando ad essere ancora una volta preoccupati.
L’aspetto più preoccupante di quello che potrebbe fare questo corpo di polizia è l’art. 29 che dice: gli appartenenti ad Eurogendfor non potranno subire procedimenti a loro carico a seguito di una sentenza emanata contro di loro. Vuol dire che nel caso venissero condannati l’arresto non potrà essere eseguito nei loro confronti, sia per lo stato ospitante che nel ricevente, praticamente INTOCCABILI. Addirittura l’art. 23 dice: le comunicazioni indirizzate all’Eurogendfor, non possono essere oggetto di intercettazioni. Cioé la magistratura non può indagare su di loro. Art. 21: inviolabilità dei locali e degli uffici. Vuol dire che nessun magistrato può disporre un eventuale perquisizione nelle loro caserme.
Arrivando all’art. 28 si legge che i paesi firmatari sono in un certo senso obbligati a rinunciare a chiedere un indennizzo per danni procurati alle proprietà nel corso delle operazioni della Eurogendfor.
Questo nuovo corpo di polizia risponde soltanto al CIMIN (un club dei ministri degli esteri europei, attualmente sei stati: Italia, Francia, Romania, Olanda, Spagna e Portogallo).
Per altro nei loro compiti, questi super poliziotti, hanno un ventaglio di “responsabilità” che vanno dalla gestione del traffico negli incroci ai servizi di intellingence, quindi figuriamoci su che ampia gamma possono agire. La domanda è, con quali fondi questo nuovo servizio viene sostenuto? Al momento chi paga tutto è l’Italia, come si dice a Roma “te pareva”. Per finire la sede di questi intoccabili e a Vicenza, dove per altro vi è la più grossa sede NATO d’Europa (semplice coincidenza). Il trattato molto semplicemente dice che si occupa delle spese lo stato ospitante, il quartier generale e a Vicenza, quindi l’Italia per il momento provvede a tutte le spese. Dimentichiamoci dei numeri identificativi sui caschi degli agenti antisommossa, visto che avremo per le strade una forza militare composta da persone che non possono essere processate, godendo della complicità delle istituzioni.
UNA DIAZ ESENTATA DA OGNI RESPONSABILITA’.           

sabato 8 settembre 2012

Corruzione e svendita dell'Italia (il salasso)


L’idea della costruzione dell’Europa per Alcide De Gasperi nel dibattito a Strasburgo sullo statuto della comunità europea, fece inserire un emendamento sull’art. 38, in cui ci si impegnava entro sei mesi a realizzare l’assemblea costituente per gli Stati Uniti d’Europa. Una visione di una grandezza impareggiabile. Non possono sfuggire alla storia alcuni dati, l’Italia fino alla fine degli anni ’50 e i primi anni ’60, cresceva ad un ritmo cinese, del 7/8% del PIL l’anno. L’Italia aveva il PIL più forte di tutta l’Europa, nel 1960 la Lira ebbe l’oscar della moneta, per le ragioni prima esposte. Si pensa ad alcuni grandi interventi, l’autostrada del Sole (Milano-Napoli) è stata costruita in 4 anni, l’autostrada Adriatica in 5 anni, imprese che hanno stupito il mondo intero. Quindi De Gasperi pensava all’Italia, ogni suo pensiero era rivolto all’Italia. Le sue scelte politiche incidevano nella realtà del paese, avevano una dimensione nazionale molto forte, avevano un immediato riflesso, oggi le vera crisi della “democrazia” sta nel fatto che le politiche nazionali contano pochissimo, i governi nazionali non riescono ad essere efficaci, sono impotenti.
Sono impotenti perché di fronte alle dinamiche globali del mercato, le decisioni sono sempre imposte dall’esterno, sono necessitate, non riescono ad avere una loro autonomia, i tassi, i salari, con una buona aggiunta anche dell’inerzia della vera politica sociale.  
Per queste ragioni, sposta radicalmente la dimensione democratica e sociale del nostro paese. Si è perso una visione lunga della politica, specialmente nel nostro paese. Per contro si è messo in moto un disastroso processo di autodistruzione dello stato italiano e di tutte le sue risorse conquistate a fatica dai nostri padri.

Svendita al peggior offerente di uno stato dismesso.
Dopo la seconda guerra mondiale e la nascita della Repubblica Italiana, i maggiori partiti italiani dell’epoca, la DC e la sinistra facente capo al PCI, si trovarono a decidere insieme, quale struttura economica da dare al nascente Stato Italiano.
Vennero rifiutati i sistemi dominanti dell’epoca, cioè il liberismo statunitense e il collettivismo sovietico. La nuova forma economica che prese vita fu quella dello stato imprenditore. Con questo modello il potere economico statale si trovava a competere con le leggi del mercato, difatti quando i nostri costituenti vararono la Costituzione, inserirono nel terzo comma dell’articolo 41 il principio secondo cui lo Stato doveva indirizzare e coordinare sia l’economia pubblica sia quella privata. L o stato entrò in concorrenza con i privati, con lo scopo di incoraggiare, anche con l’ausilio privato, l’economia del paese. Questa soluzione portò un sistema così detto della “terza via”, che aiutò l’Italia a crescere economicamente dal dopoguerra in avanti.
Alla base dello stato imprenditore vi era l’IRI, nato nel 1933 come ente di salvataggio, che dopo il 1948 divenne il vero e proprio regolatore dei rapporti statali nel mondo industriale ed economico. Un altro ente importante per comprendere al meglio la presenza dello stato nell’economia era l’ENI, impegnato nel settore degli idrocarburi. Esso gestiva le partecipazioni statali nel compartimento dell’industria petrolifera e nei compartimenti della chimica. Negli anni ’80, l’Italia incontra, purtroppo, due personaggi chiave della svendita dei beni dello stato italiano: Romano Prodi, Carlo de Benedetti. Il primo venne nominato nel 1982, presidente dell’IRI, il secondo era proprietario del gruppo Repubblica/Espresso. Prodi, nei 7 anni che sarà alla guida dell’IRI, darà prova di grande ambiguità e scaltrezza. Infatti, in qualità di presidente concederà alle società di consulenze finanziarie “Nomisma”, della quale era dirigente, incarichi miliardari (alla faccia del conflitto d’interesse). Il primo grande colpo di Prodi alla presidenza dell’IRI, fu la vendita dell’ALFA ROMEO alla FIAT, dalla quale la sua Nomisma prese grandi somme in tangenti, per soli 1000 miliardi di £ a rate, mentre la FORD ne offriva 2000 in contanti, il fiuto degli affari per Prodi è veramente innato.
Nel 1986, Carlo de Benedetti sale in cattedra. Un anno prima il governo decise di privatizzare la SME. Il consiglio di amministrazione dell’IRI fu incaricato dell’operazione, anche se la decisione finale spettava al governo. Romano Prodi, come presidente dell’IRI, si mise subito all’opera. Con accordi privati con la Buitoni (presieduta da De Benedetti), svende il 64% della SME a soli 393 miliardi di £, quando il valore complessivo di mercato era di circa 3.100 miliardi. Naturalmente per chissà quale visione economica, Prodi non prende nemmeno in esame le offerte maggiori di mercato degli altri acquirenti. Alla fine a rompere le uova nel paniere, al duo De Benedetti/Prodi è Bettino Craxi, il quale non diede autorizzazione di vendita e ritenne di mantenere la SME in ambito pubblico. A completare l’opera dello smantellamento dello stato sociale italiano è la scissione tra la Banca d’Italia e lo stato.
1981, su iniziativa di Andreatta e Ciampi (appena asceso al soglio di Governatore della Banca d’Italia), la nostra Banca centrale venne esonerata dall’obbligo di acquistare i titoli del debito pubblico che fossero rimasti invenduti in asta. Quell’obbligo, in pratica, significava che lo Stato poteva indebitarsi al tasso desiderato, perché tutti i Buoni del tesoro che i privati non avessero acquistato finivano alla Banca centrale. Era il modo in cui lo Stato “comandava” il capitale monetario. Con il divorzio, invece, lo Stato venne costretto a indebitarsi ai tassi d’interesse correnti sul mercato, i quali giusto in quel periodo schizzavano verso l’alto a causa della svolta monetarista impressa
dall’azione della Federal Reserve, la banca centrale americana. Può essere interessante ricordare che un giovanotto di nome Mario Monti (il professorone) scrisse allora che il correlato inevitabile del “divorzio” doveva essere la dismissione progressiva delle aree d’intervento pubblico: se lo Stato non poteva più indebitarsi ai (bassi) tassi precedenti, c’era il rischio che la sua azione provocasse un aumento del debito pubblico. Ma la maggioranza pentapartito fu di diverso avviso, e così il nostro debito pubblico, che nel 1981 era pari al 58% del Pil (nonostante il profluvio di spese anticicliche sopportate nei sei anni precedenti), arrivò nel 1992 al 124% del Pil. Non perché ci fosse un eccesso di spese sociali rispetto alle entrate: il debito raddoppiò solo per effetto dell’aumento della spesa per interessi causato dal “divorzio”.
E’ il 2 giugno 1992, sul panfilo Britannia di sua maestà la regina Elisabetta, ci fu un incontro più o meno riservato tra top manager britannici ed italiani. Erano presenti i presidenti di ENI, ALENIA,   INA, AGIP, SNAM, Banco Ambrosiano, oltre all’ex ministro del tesoro Beniamino Andreatta e al direttore generale del tesoro Mario Draghi. La discussione fu incentrata sul tema delle privatizzazioni del comparto pubblico italiano, e la discussione si basò sulla critica al sistema italiano, reo di essere “lontano da un vero processo di privatizzazioni per ragioni culturali di sistema politico e di specificità delle aziende da cedere”, come ebbe a dire sullo yacth reale, il presidente dell’INA Lorenzo Pallesi.

Ad inasprire il dibattito ci pensò, il consigliere di Confindustria Mario Baldassarri, che incalzò “Per privatizzare servono quattro condizioni:
1.      una forte volontà politica
2.      un contesto sociale favorevole
3.      un quadro legislativo chiaro
4.      un ufficio centrale del governo che coordini tutto il processo di privatizzazioni. Da noi oggi non se ne verifica ancora una.

Queste 4 regole enunciate da Baldassarre, si tengono a mente: la numero 1; dopo la scomparsa dei partiti storici (Tangentopoli) DC/PSI, si avvicendarono al governo vari tecnici, tutti  fortemente propensi al nuovo corso economico, Carlo Azeglio Ciampi, Giuliano Amato, Lamberto Dini, Beniamino Andreatta e Mario Draghi.
la numero 2; quegli anni furono veramente di grande caos, dove l’indignazione contro la classe politica corrotta veniva spazzata via dalle inchieste giudiziarie, era altissima, dove il debito pubblico schizzava alle stelle, anche se non era un reale problema, il contesto era favorevole per lasciar spazio alle privatizzazioni. la numero 3; il quadro normativo cominciò ad essere chiaro fin dal 1993, con l’accordo Andreatta/Van Miert, che regolava la ricapitalizzazione del settore siderurgico a patto che l.o si privatizzasse e l’azzeramento delle imprese statali. Inoltre con il decreto Amato si trasformarono in S.p.A., l’IRI, l’ENI, l’ENEL ed INA, e con successivi decreti verrà regolamentata la pratica delle privatizzazioni. la numero 4; ed ecco anche l’ufficio, cioè il Comitato Permanente di Consulenza Globale e Garanzia per le Privatizzazioni presieduto da Mario Draghi.
Nel 1993 ritorna sulla scena nazionale Romano Prodi, divenendo nuovamente il presidente dell’IRI. Dopo essere stato consulente della Goldman Sachs, Prodi procedette alla svendita della Cirio-Bertolli- De Rica ((comparto SME) alla società Fisvi, la quale non aveva i requisiti necessari all’acquisto. La Fisvi acquista per due soldi il gruppo, e a sua volta cederà il controllo della Bertolli alla Unilever, multinazionale alimentare anglo/olandese. Chi era il consulente, l’Advisory Director dell’Unilever? L’impareggiabile Romano Prodi.   
Risale al 1993 la prima privatizzazione di una delle grandi banche pubbliche, Il Credito Italiano”. La Merryl Lynch, banca americana, incaricata come consulente dell’IRI, valuterà come prezzo di vendita del Credito Italiano 8/9 miliardi di £, ma alla fine verrà svenduta per 2.7 miliardi, prezzo imposto dalla Goldman Sachs, che ne acquisterà la proprietà.
Nel 1996 a vincere le elezioni è il centro/sinistra guidato da Romano Prodi, che cede un altro 16% delle quote ENI. Privatizzò anche la Dalmine e la Italimpianti, appartenenti al gruppo IRI. E’ nel 1997 che Prodi sfodera tutto il suo intelletto, ritornando a trattare con il suo vecchio amico, Carlo de Benedetti. Sugli affari fatti dai due, l’ex segretario del partito liberale ed ex ministro dell’industria, Renato Altissimo, disse “Infostrada, la rete telefonica delle ferrovie dello stato, fu ceduta a De Benedetti per 750 miliardi di £. Subito dopo De Benedetti vendette tutto per 14 mila miliardi di £, si, avete capito bene, 14 mila miliardi di £, ai tedeschi di Mannesman. Sempre in quell’anno Prodi mise sul mercato Telecom, con le azioni che furono vendute ad un prezzo irrisorio. Appena un anno dopo le azioni varranno sul mercato 5 volte tanto.
Dopo la caduta del governo Prodi nell’ottobre del 1998, a prendere il suo posto è Massimo D’Alema, uno dei tanti post-comunisti convertitosi al liberalismo, infatti nel novembre dello stesso anno privatizzerà la BNL, con la consulenza della JP Morgan (altra banca d’affari americana). Nel 1999 dopo il decreto Bersani che liberalizzava il settore dell’energia, venne privatizzata l’ENEL. Sempre in quell’anno si privatizzò anche la società autostrade alla famiglia Benetton. L’ultima fase delle liberalizzazioni riguarda quel poco che era rimasto dell’ENI. L’onnipresente Goldman Sachs acquisterà l’appetibile patrimonio per un valore di 3 mila miliardi di £. La divoratrice dei beni italiani, con la complicità dei nostri bravi signori citati, Goldman Sachs farà incetta anche di altri immobili come quella della Fondazione Cariplo, mentre la Morgan Stanley (anch’essa banca americana) si catapulterà all’acquisto di patrimoni dell’Unim, RAS e Toro. Secondo indagini seguiti dal Il Sole 24 ore  i gruppi esteri ormai posseggono più patrimoni ex pubblici di quanti ne posseggono gruppi italiani.
La fase delle privatizzazioni si può ritenere compiuta nel 2002 con la dismissione e la liquidazione dell’IRI. Il filo conduttore che hanno disteso è giunto al termine e con la regia delle banche inglesi, americane, francesi, con attori del calibro di Prodi, Draghi e il grande professorone, Monti, a completare l’opera, hanno reso l’Italia una semplice provincia.
In meno di 10 anni, un intero sistema economico viene distrutto. Un sistema economico che ha reso l’Italia uno dei più grandi paesi a livello internazionale. L’Italia, una delle cinque potenze del mondo economicamente, tecnologicamente e industrialmente più avanzate, viene ridotta a poco più di uno spezzatino. Grazie allo scempio di queste svendite, l’Italia si è giocata il 40% del suo PIL, cioè della sua ricchezza. I maggiori artefici di questo processo predatorio dello stato italiano, sono gli stessi uomini che hanno consegnato il paese in mano all’Europa e nella morsa della moneta unica. Sono gli stessi che vengono pontificati come profeti della buona politica, grandi statisti. Spero un giorno, non sia troppo lontano, che tutti questi uomini vengano processati per alto tradimento del popolo italiano.
Interessante un articolo di Luigi Cavallaro che percorre un analisi suicida del nostro paese.  

di Luigi Cavallaro

ECCO COME HANNO DISTRUTTO LO STATO SOCIALE ITALIANO: Tutti che guardano allo spread, intanto questa crisi ha cambiato completamente i connotati ai fondamenti dello Stato di diritto…

Più esattamente, questa crisi sta cambiando i connotati a quella peculiare declinazione dello Stato di diritto che è lo Stato sociale, a cominciare dalla sua pretesa di governare i processi economici. Si tratta in effetti della maturazione di un trend che ormai data da lontano. Per capirci, quando i nostri costituenti vararono la Costituzione, inserirono nel terzo comma dell’articolo 41 il principio secondo cui lo Stato doveva indirizzare e coordinare sia l’economia pubblica sia quella privata. Lo Stato, ai loro occhi, non doveva essere solo il “regolatore” dell’iniziativa economica e nemmeno il produttore di beni e servizi da offrire in alternativa alle merci capitalisticamente prodotte: doveva porre sia l’iniziativa economica pubblica sia quella privata nell’ambito di un proprio disegno globale, che individuava priorità, strategie, mezzi. Un obiettivo del genere, sebbene fermamente voluto sia dai cattolici che dai comunisti, era particolarmente inviso ai liberali, che erano ben disposti a godere dei benefici della spesa pubblica, ma certo non volevano saperne di cedere allo Stato poteri di indirizzo e controllo sulla loro attività. Si optò allora per un compromesso che – grazie alla mediazione di Luigi Einaudi, capofila dei liberali tra i costituenti – prese la forma dell’art. 81 della Costituzione: ogni legge di spesa doveva indicare la corrispondente fonte di entrata. Era un modo per dire che nemmeno lo Stato poteva sottrarsi al principio del pareggio di bilancio, perché Einaudi sapeva bene che, se si fosse consentito allo Stato di indebitarsi (come invece predicavano i keynesiani ortodossi), l’economia pubblica, che già si trovava collocata su una posizione di primazia, avrebbe preso il sopravvento sull’economia privata.

Un compromesso per la proprietà e il capitale…

Sì, ma nel 1966 la Corte costituzionale lo fece saltare, perché in una sentenza stabilì che anche il debito costituiva una forma di entrata. A quel punto – ricordiamo che in quel periodo il 90% del sistema bancario e un’elevatissima percentuale di quello industriale erano di proprietà pubblica – c’erano tutte le premesse perché anche l’economia italiana potesse avviarsi lungo i temuti (da Confindustria, beninteso) sentieri della “bolscevizzazione”: nel corso degli anni ’70 Guido Carli lo denunciò a più riprese e trovò ascolto, oltre che nelle classi proprietarie, in una nuova leva di economisti e giuristi che presto ne divennero gli intellettuali organici: penso a Eugenio Scalfari, Nino Andreatta, Romano Prodi, Giuliano Amato. In effetti, quando finalmente si scriverà la storia degli anni ’70, bisognerà pur dire che quella che andò in scena dietro il paravento delle crisi petrolifere, del balzo dell’inflazione, delle stragi e del terrorismo fu una vera e propria guerra civile, innescata dai tentativi di “rivoluzione dall’alto” che furono portati avanti dai tanto vituperati governi di solidarietà nazionale e del compromesso storico voluti da Moro e Berlinguer. Ma lasciamo stare, perché quel che ci interessa qui è la reazione capitalistica. La quale, più ancora che nella marcia dei 40.000, si manifestò nel cosiddetto “divorzio” tra il Tesoro e la Banca d’Italia. Su iniziativa di Andreatta e Ciampi (appena asceso al soglio di Governatore della Banca d’Italia), la nostra Banca centrale venne esonerata dall’obbligo di acquistare i titoli del debito pubblico che fossero rimasti invenduti in asta. Quell’obbligo, in pratica, significava che lo Stato poteva indebitarsi al tasso desiderato, perché tutti i Buoni del tesoro che i privati non avessero acquistato finivano alla Banca centrale. Era il modo in cui lo Stato “comandava” il capitale monetario. Con il divorzio, invece, lo Stato venne costretto a indebitarsi ai tassi d’interesse correnti sul mercato, i quali giusto in quel periodo schizzavano verso l’alto a causa della svolta monetarista impressa da Paul Volcker all’azione della Federal Reserve, la banca centrale americana. Può essere interessante ricordare che un giovanotto di nome Mario Monti scrisse allora che il correlato inevitabile del “divorzio” doveva essere la dismissione progressiva delle aree d’intervento pubblico: se lo Stato non poteva più indebitarsi ai (bassi) tassi precedenti, c’era il rischio che la sua azione provocasse un aumento del debito pubblico. Ma la maggioranza pentapartito fu di diverso avviso, e così il nostro debito pubblico, che nel 1981 era pari al 58% del Pil (nonostante il profluvio di spese anticicliche sopportate nei sei anni precedenti), arrivò nel 1992 al 124% del Pil. E bada bene, non perché ci fosse un eccesso di spese sociali rispetto alle entrate: il debito raddoppiò solo per effetto dell’aumento della spesa per interessi causato dal “divorzio”.

E dal 1992 ad ora che è successo?

E’ successo che quel processo di dismissione delle aree d’intervento statale, che fino ad allora non si era potuto realizzare perché la nostra Costituzione era “interventista”, è stato finalmente intrapreso grazie alla nostra adesione ai Trattati europei. I quali, dal punto di vista delle prescrizioni economiche, sono praticamente antitetici rispetto alla nostra Costituzione: per dirla con una battuta, è come se da Keynes fossimo tornati ad Adam Smith e David Ricardo. Peggio, alle “armonie economiche” di Bastiat. Si è cominciato a privatizzare, si sono tagliate le piante organiche delle amministrazioni pubbliche, si sono riformate la sanità e le pensioni in modo da umiliare i malati e impoverire i pensionati. Sono tutte politiche dettate dalla volontà di spazzar via lo Stato dal processo economico, che però hanno generato una diminuzione della domanda, perché non esiste alcuna domanda interna o estera capace di soppiantare la minor domanda pubblica di beni e servizi. L’unica fiammata di (relativo) benessere la nostra economia lo ha conosciuto tra il 1995 e il 1996, quando si fecero finalmente sentire gli effetti della pesantissima svalutazione della lira attuata (a danno dei lavoratori, grazie alla disdetta della scala mobile) nel 1992. Ma da quando siamo entrati a far parte della banda ristretta di oscillazione che poi (dal 1999) porterà alla moneta unica, le nostre esportazioni sono crollate e con esse la domanda, il reddito e l’occupazione. Guarda i tassi di crescita del nostro Pil dal 1997 a oggi e scoprirai che la “decrescita” ce l’abbiamo in casa fin da prima che Latouche inondasse con la sua bibliografia gli scaffali delle librerie.

Quindi il “fiscal compact” non è una novità come sembra…

La modifica che è stata adesso apportata all’articolo 81 della Costituzione, che ha reso davvero stringente il vincolo del bilancio in pareggio, è assolutamente coerente con l’ingresso del nostro paese nell’Unione europea. L’attività dello Stato, ci dice l’Europa, è possibile solo in quanto non interferisce con l’iniziativa privata. Non c’è più alcuna politica economica possibile: non una politica fiscale (perché si devono solo ridurre le spese), non una politica monetaria (perché ci pensa la Banca centrale europea), non una politica industriale (perché ci pensa Marchionne). Si devono solo abbassare i salari, perché non sono compatibili con un sistema produttivo arretrato come il nostro, che campa ancora di agroalimentare, abbigliamento, arredo casa e un po’ di automazione meccanica. E dunque via alla balcanizzazione dei contratti nazionali in una miriade di contratti aziendali: a questo serve la modifica dell’articolo 18, sebbene molta parte del sindacato non se ne dia per inteso.

Ma non c’erano alternative possibili?

Quello che è più triste è dover constatare che anche quanti avrebbero dovuto denunciare e contrastare per tempo questa follia di ritornare allo Stato ottocentesco, allo Stato veilleur de nuit, hanno avuto un ruolo che possiamo definire di “agevolazione colposa”. Mi riferisco all’antistatalismo viscerale che ha ispirato ed ispira molta parte della cosiddetta “sinistra d’alternativa”, che nei vent’anni trascorsi anni ha coltivato e diffuso nelle generazioni più giovani una quantità impressionante di mitologie protese a ricercare improbabili “terze vie” tra privato e pubblico, tra capitale e Stato: prima era il “terzo settore”, adesso sono i “beni comuni” e in mezzo ci sono sempre le utopie regressive dell’“ecologismo radicale”. Sono i cascami dell’anarchismo, dell’autogestionarismo e dell’assemblearismo post-sessantottino e post-settantasettino, che – va da sé – hanno assai più mercato editoriale e visibilità massmediatica rispetto alle più classiche posizioni marxiane o keynesiane: in fondo, non fanno altro che ripetere che la via “pubblica” è sbagliata e comunque non è percorribile, dunque al capitale fanno molto comodo. Quando vedo le marce contro la privatizzazione dell’acqua (e va da sé, per l’“acqua bene comune”), sorrido e mi vien da pensare a una battuta di Flaiano, che più o meno diceva che quando in Italia si organizza un convegno sull’importanza del bovino vuol dire che i buoi sono scappati dalla stalla. “No alla privatizzazione dell’acqua”: bene. Ma dove eravate, vien fatto di dire, quando si privatizzavano le banche e le industrie? Ci siamo dimenticati che il grosso delle privatizzazioni si è fatto a partire dal 1996, quando Presidente del Consiglio era Romano Prodi e Rifondazione Comunista sosteneva il governo? O ci siamo dimenticati che il dibattito timidamente avviato da un centinaio di economisti e intellettuali, che nel 2006 avevano sostenuto la possibilità di stabilizzare il debito in rapporto al Pil, fu stroncato da Fausto Bertinotti in persona, che mise il veto alla stessa possibilità che Rifondazione potesse esprimersi in merito per non ostacolare l’ennesima manovra “lacrime e sangue” voluta dal compianto Tommaso Padoa-Schioppa? Oggi siamo alla conclusione di un processo avviatosi trent’anni fa: il “fiscal compact” approvato in sede europea di fatto rimuove qualunque idea di direzione pubblica dei processi economici per i prossimi cinquant’anni. Il fatto che ci sia una tremenda crisi economica in corso può forse offrire una qualche speranza che tutto il marchingegno salti. Ma se questo meccanismo salta, salta da destra: la sinistra, come scrisse ormai quasi dieci anni fa Luigi Pintor nel suo ultimo editoriale, è morta da un pezzo.A proposito di crisi, come giudichi il protagonismo della Bce?


Il fatto che la banca centrale prometta di diventare prestatore di ultima istanza non risolve le contraddizioni del sistema capitalistico: su questo punto, Marx obiettò a Bagehot con considerazioni che mi paiono ancora decisive. Quel che si può dire con certezza è che, se l’Italia resterà nell’euro così com’è strutturato adesso, andremo incontro a un impoverimento progressivo e crescente: basti dire che per i prossimi vent’anni dovremo fare tagli di spesa per 45 miliardi all’anno…

Ma la giustificazione è che se il debito non diminuisce lo spread aumenta…

Questa è una delle più colossali mistificazioni spacciate per verità dalla borghesia dominante e dagli intellettuali suoi lacchè. Se l’andamento dello spread dipendesse dall’ammontare del debito pubblico, il divario tra i nostri titoli e quelli tedeschi dovrebbe essere superiore a quello che c’è fra quelli spagnoli e quelli tedeschi: la Spagna ha infatti un debito pubblico di molto inferiore al nostro. Invece non è così, e la ragione è che lo spread risente assai più dall’andamento della bilancia commerciale. In pratica, è come se i mercati scommettessero che i Paesi che si trovano con una bilancia commerciale in rosso saranno presto o tardi costretti o a svendere tutte le loro industrie ai tedeschi (o ad altri possibili compratori esteri) o a uscire dalla moneta unica e a ripudiare il debito in euro. Grecia, Portogallo, Spagna e Italia sono i Paesi maggiormente “indiziati” perché sono i Paesi con la struttura produttiva più debole. Sta qui – detto per inciso – la vera finalità delle manovre finanziarie cui ci sottopongono da vent’anni e da ultimo della stessa spending review: l’obiettivo è quello di deflazionare i consumi interni per abbattere il fabbisogno di importazioni e riportare in pareggio la bilancia commerciale. Funzionerà come funzionavano i salassi praticati dai cerusici ai malati di un tempo: terapie efficaci, ma solo perché uccidevano il paziente. Anche in Confindustria cominciano a sospettarlo.

sabato 1 settembre 2012

Corruzione e disfacimento dell'Italia (una pizza per tutti)


Quanto ci costa la corruzione in Italia? La corte dei conti nel 2011 ha calcolato la corruzione in Italia per una cifra di 60.000.000.000 di euro. Una tassa occulta pagata dal contribuente italiano ogni anno. Si ha idea di quanti siano 60 miliardi di €? Sicuramente si, ma forse è meglio fare un minimo di analisi comparata per capire quanto è grande la rapina a cui il popolo italiano è sottoposto ogni anno, mentre il paese sprofonda sempre di più. Alcune migliaia di ladri rubano a 60 milioni di italiani, attraverso la corruzione, 60 miliardi di euro insieme al loro futuro prossimo. Un danno enorme e irreparabile perchè la politica non fa nulla per arginare il fenomeno che dilaga indisturbato.
Risorse enormi che vengono rubate agli italiani. Quante risorse sarebbero utilizzate per gli italiani, con tale cifra, se potrebbero essere utilizzate per la crescita della società e della democrazia? Molte.
Il debito pubblico italiano ha raggiunto la cifra stratosferica di oltre 1.900 miliardi di €, e gli interessi che lo stato paga ogni anno, milione più milione meno, sono pari a circa 60 miliardi di €. Con 60 miliardi della corruzione si potrebbero pagare, ogni anno, gli interessi sul debito italiano. Non è poco.
Ma facciamo conto di trascurare il debito e gli interessi che ogni anno paghiamo e che ci costringono a manovre finanziarie, che di fatto demoliscono pian piano lo stato sociale e le risorse per la formazione, le pensioni, la sanità e il lavoro in generale e proviamo ad immaginare (solo questo ci resta per il momento) cosa si potrebbe fare con 60 miliardi di € l’anno stanziati per la corruzione.
L’Italia conta circa 60 milioni di abitanti, se dividessimo questi soldi per il numero di abitanti, nessuno escluso, ciascun cittadino avrebbe 1.000 € l’anno. Una famiglia di 4 persone avrebbe 4.000 € di reddito in più.
60 miliardi di € equivalgono a 3 manovre finanziarie di 20 miliardi di € ciascuna. Ciò vuol dire che con i soldi della corruzione di un anno, lo stato andrebbe avanti per tre anni senza ulteriori oneri per il contribuente. Inoltre in 3 anni si accumulerebbero ben 180 miliardi di € per gli annji successivi...e così via. Considerato che uno stipendio medio si aggira a circa 1.200 €, con 60 miliardi si potrebbero stipendiare per 13 mesi, più di 3,5 milioni di disoccupati, mentre questa montagna di denaro finisce in tasca a predatori farabbutti.
Con 60 miliardi di € della corruzione si potrebbero finanziarie le imprese:

  • 3 milioni di € a 20 mila imprese oppure
  • 1,5 milioni di € a 40 mila imprese oppure
  • 750 mila € a 80 mila imprese oppure
  • 600 mila € a 100 mila imprese oppure
  • 300 mila € a 200 mila imprese oppure
  • 150 mila € a 400 mila imprese oppure
  • 60 mila € a 1 milione di imprese
Questo ogni anno
Con 60 miliardi di € della corruzione si potrebbero finanziarie enti ed istituzioni:

  1. 1 milirdo per la scuola materna
  2. 1 miliardo per la scuola media
  3. 1 miliardo per la scuola superiore
  4. 1 miliardo per le università
  5. 1 miliardo per gli ospedali del nord
  6. 1 miliardo per gli ospedali del centro
  7. 1 miliardo per gli ospedali del sud
  8. 1 miliardo per la ricerca di base
  9. 1 miliardo per la ricerca hi-tech
  10. 1 miliardo per l’integrazione delle pensioni minime
  11. 1 miliardo per l’integrazione dei salari bassi
  12. 1 miliardo per la formazione dei giovani e l’avviamento al lavoro
  13. 1 miliardo per la forestazione
  14. 1 miliardo per i parchi nazionali
  15. 1 miliardo per i parchi marini
  16. 1 miliardo per i parchi e riserve da istituire ex novo
  17. 1 miliardo per i parchi e riserve marini da istituire ex novo
  18. 1 miliardo per la raccolta differenziata del nord
  19. 1 miliardo per la raccolta differenziata del centro
  20. 1 miliardo per la raccolta differenziata del sud
  21. 1 miliardo per arginare l’inquinamento
  22. 1 miliardo per l’edilizia scolastica
  23. 1 miliardo per i campus universitari
  24. 1 miliardo per la formazione dei lavoratori delle aziende che chiudono
  25. 1 miliardo per il buon funzionamento della giustizia del nord
  26. 1 miliardo per il buon funzionamento della giustizia del centro
  27. 1 miliardo per il buon funzionamento della giustizia del sud
  28. 1 miliardo per la ricerca delle malattie rare
  29. 1 miliardo per la ristrutturazione dei piccoli borghi del nord
  30. 1 miliardo per la ristrutturazione dei piccoli borghi del centro
  31. 1 miliardo per la ristrutturazione dei piccoli borghi del sud
  32. 1 miliardo per la messa in sicurezza idrogeologica del nord
  33. 1 miliardo per la messa in sicurezza idrogeologica del centro
  34. 1 miliardo per la messa in sicurezza idrogeologica del sud
  35. 1 miliardo per la prevenzione terremoti del nord
  36. 1 miliardo per la prevenzione terremoti del centro
  37. 1 miliardo per la prevenzione terremoti del sud
  38. 1 miliardo per la qualità della vita dei malati terminali
  39. 1 miliardo per la qualità della vita dei bambini in ospedale
  40. 1 miliardo per la qualità della vita degli anziani soli
  41. 1 miliardo per l’edilizia popolare
  42. 1 miliardo per lo sviluppo delle energie alternative
  43. 1 miliardo per il risanamento del territorio del nord
  44. 1 miliardo per il risanamento del territorio del centro
  45. 1 miliardo per il risanamento del territorio del sud
  46. 1 miliardo per potenziamento delle forze dell’ordine
  47. 1 miliardo per nuovi penitenziari
  48. 1 miliardo per la formazione e rieducazione dei detenuti
  49. 1 miliardo per lo sport del nord
  50. 1 miliardo per lo sport del centro
  51. 1 miliardo per lo sport del sud
  52. 1 miliardo per i beni culturali del nord
  53. 1 miliardo per i beni culturali del centro
  54. 1 miliardo per i beni culturali del sud
  55. 1 miliardo per il teatro
  56. 1 miliardo per il cinema
  57. 1 miliardo per gli Enti Lirici
  58. 1 miliardo per il restauro delle opere d’arte e dei siti archeologici
  59. 1 miliardo per l’integrazione degli immigrati e per i campi Rom e la cooperazione con gli stati di provienenza
  60. 1 miliardo per 50 pizze l’anno per ogni italiano per un totale di 350 milioni di pizze

Ci sarebbero soldi perfino per
UNA PIZZA PER TUTTI

Ora, si ha idea cosa significa lasciare che pochissime persone(10%) corrotte si mettono in tasca 60.000.000.000 € ogni anno?
…..poi ci sarebbero gli oltre 240.000.000.000 € l’anno di evasione fiscale, con la possibilità di elencare altri 240 punti di risorse da impiegare per il popolo italiano.


La nascita della corruzione sistematica in Italia raccontata da Indro Montanelli

di Antonio Cicalini

Apprendo con piacere la notizia che la presidente dell'Argentina, Kirchner, ha dichiarato pubblicamente che il suo Stato ha quasi praticamente chiuso con la restituzione dei debiti, dopo pochi anni.  
Cristina Fernández de Kirchner
La Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi di euro intestato al FMI con scadenza 31 dicembre 2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche, l'Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo la dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni, abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato, contestato e combattuto contro le decisioni del FMI che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fossero l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada opposta: quella del keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi e siamo in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del FMI e della Banca Mondiale sono idee errate, sbagliate. Lo erano allora, lo sono ancor di più oggi. Chi vuole operare, imprendere, creare lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale.”. Io non sono in grado di comprendere a fondo e giudicare imparzialmente ciò che la presidente argentina ha affermato. Una cosa certa e positiva però la posso dire. L'Argentina è riuscita a risollevarsi dal baratro in cui era caduta grazie ad iniziative veramente originali ed autonome. La lezione principale da trarre dal popolo argentino è proprio questa. Ma la lezione viene appresa dall'esperienza e dalla sofferenza e solo quando si arriva ad un livello totale di esasperazione, tale da indurre ad agire e a rischiare il tutto per tutto, pur di terminare un''agonia lenta ed inevitabile, quale è quella in cui è incappata l'Italia, ci si può risollevare. Noi non risolveremo niente se non capiamo che l''unica strada da percorrere è quella di tornare ad una nostra indipendenza, persa con l'euro ed perseverante con i governi che hanno ammanettato e schiavizzato l'Italia perlomeno da un ventennio. Sono consapevole che l'Italia non è in grado di ribellarsi come dovrebbe ANCHE perchè molti, troppi, hanno convissuto con la corruzione politica attuata da sempre. Diciamoci la verità: a tanti italiani è convenuto stare dalla parte dei potenti, politici e finanziari insieme, perchè ciò ha potuto permettere loro di vivere ed arricchirsi GRAZIE a questa corruzione generalizzata. Non è bastato un sano welfare state, un sano rapporto sindacale, un sano rapporto con lo Stato e la Pubblica Amministrazione. No,quando il tasso di evasione fiscale raggiunge il 18% del PIL, quando gli imprenditori dichiarano un reddito inferiore agli operai, quando una buona parte di liberi professionisti dichiara un reddito da povertà, quando per entrare a lavorare in una banca o in un qualsiasi ufficio pubblico E PRIVATO sono occorse la raccomandazione o la tessera dei partiti al potere, quando i politici dichiaravano di aver raggiunto la piena occupazione, semplicemente annullando quel 10-20% di popolazione che rimaneva comunista, quando alcune grosse fette di categorie hanno accumulato ottime pensioni senza versare i giusti e necessari contributi,quando per avere una licenza di commercio o una semplice licenza di caccia o un prestito bancario si ricorreva tranquillamente alla raccomandazione politica di turno, quando per entrare a lavorare in ospedale si votava per il politico di favore, quando per ottenere una pensione di invalidità non occorreva essere invalidi nella giusta misura, ma invece avere una raccomandazione, ebbene il popolo italiano, nel suo complesso, non ha mai protestato. E così da De Gasperi ad Andreotti, a Fanfani e De Mita, a Craxi e Berlusconi, ai vari capi di cooperative rosse o ai partiti comunisti delle regioni rosse, tutto il sistema è andato avanti a colpi di favore e di raccomandazioni, e nessuno, se non poche mosche bianche, si accorgeva dei conti pubblici e privati. Ricordo che una di queste poche mosche, il ministro Bruno Visentini, ministro delle finanze, disse apertamente che le dichiarazioni dei reddti degli italiani gli facevano schifo, fu letteralmente distrutto, assalito,messo alla gogna e insultato, in particolare da coloro che votavano il grande, santo, Silvio. Ed anche Craxi, in consiglio dei ministri, con la sua orrenda arroganza, si permise di redarguire Visentini. Adesso i tempi sono cambiati, la crisi è insopportabile, la recessione è insostenibile, il costo della vita pure, e però non ci si rende conto che una rivolta sociale di massa potrebbe essere l'unica soluzione per scalzare finalmente Monti, il suo governo, Bersani, Alfano, Berlusconi, Casini & company. Ci siamo fatti incastrare dal Fiscal Compact, che ci condanna almeno a mezzo secolo di tortura, da una propaganda internazionale che utilitaristicamente mette uomini orrendi come Monti, Amato, Giavazzi, Giannino, Bondi, ed altri, come salvatori della patria ( Salva Italia! Incredibile sfottò preso seriamente! ). L'euro, checchè ne dica Draghi, è nato male ed è vissuto peggio, che peggio non si può. Ciò non lo dico soltanto io, ma in tantissimi. Ed allora l'euro deve essere reversibile e rinascere, SE SI VUOLE, con altri presupposti ed altre prospettive, che l'esperienza ci ha insegnato.Tutte le popolazioni interessate lo dicono apertamente, dalla Grecia alla Germania. A Bruxelles e Strasburgo si è formata una nuova casta, formata da politici e funzionari che vengono pagati lautamente senza produrre alcun risultato positivo. Altro che casta italiana! Questa casta va fermata, in nome della pace dei popoli europei. Così come va fermata quella casta di politici ed intellettuali, "esperti" solo a imbrogliare le persone.Quando io osservo che, gli esperti degli esperti, come Giavazzi ed Alesina, hanno scritto un libro con il titolo che può apparire un paradosso, ma per gli autori c'è convinzione " IL LIBERISMO E' DI SINISTRA" a me viene da vomitare. Quando il dottor sottile Amato, coadiuvatore principale di Craxi, va ancora in giro ai poteri alti a dissertare sulla politica del presente e del futuro, con tanto di rispetto nella sua casta, a me vien da vomitare. Quando vedo che D'Alema, primo ministro responsabile del massacro della ex Jugoslavia e principale accantonatore di Occhetto, sta ancora a dettar legge nel PD, a me vien da vomitare. E così vale per Enrico Letta, Pietro Ichino, e tanti altri, per non parlar del centro destra. . Ma basta.Per tornare all'Argentina, quando leggevo che il suo PIL negli ultimi anni aumentava con una media dell'8% l'anno, io non credevo ai miei occhi ed ero felicissimo. E sì, cavolo, si può uscire da questa agonia, all'apparenza irreversibile! E vi dirò, se fosse opportuno ed utile avviare un'economia autarchica, io sarei lo stesso contento, pur di sottrarci allo strozzinaggio nazionale ed internazionale.Penso ad esempio che se ogni comune,ogni quartiere, invece di lasciare abbandonate le campagne, formassero delle associazioni di cittadini agricoltori che bonificano quelle terre e coltivano e producono prodotti di orto o di frutta o di animali, da ridare equamente alla popolazione comunale stessa, non raggiungeremmo il traguardo della spesa alimentare gratis? Questo è solo uno dei casi di cooperazione possibile. Ritornare ad una civiltà dei Comuni per me sarebbe positivo.Ed io so che anche con la formazione di cooperative autogestite la popolazione argentina si è ripresa dal disastro, dalla disoccupazione, dalla povertà estrema e dalla fame. Insomma occorre che noi italiani diamo quanto prima una virata drastica. Altrimenti non si risolve niente.Confesso che sono stanco di ascoltare quei telegiornali con dichiarazioni sempre uguali, con "esperti" che nella loro variegazione dicono sempre le stesse cose, ed in verità sono, come diceva Gaber, soltanto i soliti coglioni, che guadagnano decine di migliaia di euro per consulenze francamente inutili. Quanti ne ho conosciuti di questi esperti, e mi rendevo conto che ne sapevano ben poco, e mentre io prendevo 1.200 euro al mese, e relazionavo e studiavo anche per conto loro, essi si prendevano la parcella almeno 10 volte di più, solo perchè avevano scritto un libro, o venivano da università straniere( l'esterofilia è sempre stata per gli italiani una malattia, con tutto il rispetto dei veri,grandi stranieri). Ma possibile che non ci si rende conto che l'unica medicina reale per l'Italia è quella di tornare alla crescita il più presto possibile? Per questo, ma non solo per questo, bisogna tornare ad investire senza che gli investimenti vengano inchiodati e scoraggiati a causa del debito.Bisogna METTERE IN GALERA gli imprenditori ed i finanzieri che delocalizzano all''estero oppure esportano i capitali.
Oh Marx, buon vecchio Marx! Ai proletari che lottavano per un migliore salario, o per altre condizioni, egli acconsentiva, ma ricordava sempre che l'unica lotta di VERA conquista era quella di abbattere la logica capitalista. E Marx si dice che è superato? Sicuramente per molti aspetti sì, ma solo perchè è vissuto 150 anni fa. La sua sostanza di insegnamento è rimasta attualissima. Quando si arriverà ad una disperazione tale che gli italiani ( e non solo gli italiani,ma tutti gli europei) compiano quello scatto di massa per dire basta ? Il popolo argentino era giunto alla disperazione ed alla esasperazione. E si è ribellato ed ha sofferto ed adesso sta molto meglio. E noi italiani siamo incatenati. E siamo ricattabili. Mai, mai, bisogna arrivare al punto, sia a livello personale che collettivo, di essere ricattabili. E noi a livello nazionale lo siamo diventati. Si vuol sapere chi possiede il nostro debito pubblico? Al 2011, era di 1.577 miliardi di euro, ripartiti dei il 56% in mano agli Italiani, il 44% in mano estera.
Poi: Banche italiane: 15%; Gruppi assicurativi esteri e fondi comuni europei 14,6%; banche estere 12,3%; Investitori privati italiani 14,0%; compagnie assicurative italiane 11,4%;
altri investitori esteri 11,1%; Fondi italiani gestiti dall'estero 6,1%; investitori asiatici 6,0%; fondi di investimento italiani 5,5%; Banca d'Italia 4,0%. Si sono comprati l'Italia. E la proposta dei nostri esperti è quella di vendere tutto il patrimonio immobiliare italiano. Ma se di fatto già è in mano loro! Non solo, ma gli eventuali acquirenti, proprio per la regola dei mercati ( ed i mercatisti dovrebbero saperlo!) comprerebbero solo a prezzi stracciati. Altro che 200, 300, 400 miliardi di euro!
La stessa situazione esisteva in Argentina ed in Islanda. Riacquistare la nostra integrità è necessario A livello di singoli, Marx, Nietzsche, Schopenhauer, Freud, Mandela, Gramsci, hanno mantenuto la loro integrità. A tutti loro è costata molto, ma se adesso parliamo di questi uomini è perchè hanno mantenuto la loro libertà di conoscere, pensare, comunicare. Noi italiani dobbiamo riconquistare la nostra integrità, e lo si può fare soltanto con spirito di sacrificio autonomo, non servile. E, nel terminare, ONORE , COMPLIMENTI ED AUGURI AL POPOLO ARGENTINO; AL SUO CORAGGIO, AI SUOI SACRIFICI, ALLA SUA VOLONTA' DI LOTTARE, ALLA SUA NUOVA VITA!