mercoledì 2 dicembre 2015

Lì sotto potrebbe esserci di tutto

Ci sono storie di cui non si parla, ma non per questo sono storie risolte.











4/11/2015 i scavi sono andati avanti per tutta la giornata, nel terreno i bidoni, ormai a pezzi, hanno rilasciato oli minerali, idrocarburi, catrame ed altri rifiuti tossici, fino ad ora sono stati trovati fusti pieni di materiale tossico. 

Siamo in un area alla periferia di Ercolano alle falde del Vesuvio, in provincia di Napoli, questi rifiuti sono stati sepolti qui molti anni fa. Il terreno è contaminato, dove i bidoni si sono rotti ed i veleni li trovi subito, basta scavare soltanto un poco. Il terreno è stato usato come discarica illegale di rifiuti tossici per almeno 20 anni: lì sotto potrebbe esserci di tutto. 


Scorre il tempo (prima parte)


Una zona della regione Campania ribattezzata la TERRA DEI FUOCHI, una zona che necessità il prima possibile di una bonifica totale e non con finanziamenti di propaganda governative come ha asserito il presidente del consiglio a Bagnoli lo scorso 13 novembre "Abbiamo approvato il decreto a partire da 50 milioni, pronti dal 2015, per l'area di Bagnoli dopo 21 anni di indolenze e ritardi", spiega il premier, che entra nel dettaglio. "L'obiettivo è bonificare del tutto l'area di Bagnoli da qui ai prossimi 24 mesi.


Scorre il tempo (seconda parte)

È un'operazione che si può fare». Ossia «chiudere il pacchetto bonifiche e poi lanciare un progetto strategico simile all'Expo». Il premier annuncia anche che "affida alla Regione Campania 150 milioni per eliminare, con il sostegno di Anac in modo serio e rigoroso la piaga delle ecoballe", aggiungendo che il decreto prevede 150 milioni per il piano sul dopo-Expo. Renzi precisa che "150 milioni per la Terra dei Fuochi fanno il paio con i 150 del 2016 e a questi si sommano i 150 del 2017, già stanziati con la legge di Stabilità". Stanziamenti per "eliminare in modo molto serio e rigoroso la piaga delle ecoballe in particolare in una parte del territorio in provincia di Napoli."

Scorre il tempo (terza parte)



Scorre il tempo (quarta parte)


Scorre il tempo (quinta parte)




OCCORRE BONIFICARE TUTTO, MAGGIORMENTE I RESPONSABILI.


Trovati rifiuti anche ad una profondità superiore ai 9 metri e sono trascorsi più di 4 mesi da quando a Calvi Risolta in provincia di Caserta, in un area dismessa dalla Pozzi e Ginori, sono emersi rifiuti pericolosi di origine industriale. Si tratta, probabilmente, della discarica sotterranea più grande di Europa, da come affermano i tecnici del Corpo Forestale dello Stato. Un estensione quasi di 25 ettari, un volume di 2 milioni di metri cubi di rifiuti. Le analisi compiuti dalla seconda università di Napoli, su campioni prelevati , hanno mostrato la presenza di rifiuti speciali pericolosi: zinco, piombo, idrocarburi. Alcuni campioni contengono cromo, clorometano di rilevante e grave pericolosità. 


Dopo appena 4 mesi, in molti, sembrano aver dimenticato la bomba ecologica di Calvi Risolta. 

Poco si parla della discarica conosciuta per lo smaltimento di migliaia e migliaia di rifiuti tossici ed industriali nella grande area di Giuliano. 220 ettari in cui esistono parecchie discariche che hanno connotato il traffico illecito dei rifiuti della possibile contaminazione di matrice ambientali. La discarica di Resi è stata bloccata un anno fa per paventata contaminazione di Mafia Capitale, in corso in questi mesi nel Consiglio di Stato.

Non dimentichiamo che il rischio di disastro ambientale vero è quello del percolamento di questi rifiuti interrati verso la falda acquifera, quindi di estrema urgenza partire con i lavori di messa in sicurezza. Invece quello che è in atto, dai pochi dati che si hanno, anche l'aria che parte da queste aree non è per nulla salubre per le popolazioni nelle vicinanze. La gran parte delle aree a rischio, per fortuna, sono state individuate, se dunque serve un azione a tutela degli agricoltori e dei prodotti agricoli di eccellenza che ristabilisca la verità sulla natura e la dimensione dei danni subiti da anni di incapace gestione del ciclo dei rifiuti e di mancata tutela del territorio, che cancelli l'idea di una regione tutta inquinata e disseminata di scorie, è anche vero dove questo è accaduto non si può ne dimenticare ne minimizzare.



Le bonifiche in queste aree inquinate inizieranno, e quanti soldi sono stati stanziati in Campania? Da quello che risulta al momento i soldi stanziati per la bonifica sono di 450 milioni di euro, a questo però non fa nessuno riscontro all'avvio di nessuna bonifica come dice Michele Buonomo responsabile Legambiente campania, una nota dolente che per le bonifiche siamo ancora all'anno zero. Buonomo prosegue "Dove si è iniziato ci sono anche difficoltà di tipo giudiziario, per cui occorre concentrare fortemente il campo dell'attenzione". 

Una multa forfettaria di 20 milioni di euro per non aver posto rimedio alla disastrosa gestione dei rifiuti in Campania ed aver violato le norme europee. Italia condannata ancora una volta e il conto diventa sempre più salato, economicamente un bagno di sangue, per quei 6 milioni di ecoballe. Cumuli di rifiuti pressati teoricamente per lo smaltimento degli inceneritori, lasciati a marcire all'aperto inquinando il territorio campano come è accaduto a Taverna del Re, vicino a Giuliano, ed in tanti altri posti. Saranno sufficienti quei 450 milioni di euro stanziati dal governo? 

Il problema dei rifiuti in Campania non è legato solo all'ecoballe, ci sono anche i roghi ed i sversamenti illegali di liquidi di laboratorio, come quelli dell'ospedale di Aversa, individuati dai carabinieri, per non parlare poi dei rifiuti nascosti da diverse industrie del nord Italia. La giunta De Luca pensa all'ecoballe, ma non solo, "NO inceneritori, NO nuove discariche, 450 milioni di euro per lo smaltimento dei rifiuti. Per 20 anni l'ecoballe si sono accumulate nel nostro territorio, l'intenzione è che a partire dai prossimi mesi e necessario invertire il processo radicale dello smaltimento" come ha affermato Emilio di Marzio, portavoce presidente della regione Campania. 

Il M5S chiede chiarezza per come saranno spesi quei soldi. Salvatore Micillo - parlamentare 5S - "La prima cosa che abbiamo sentito da De Luca è che non vuole gli inceneritori su queste terre, noi speriamo vivamente che non ci siano nuove costruzioni di inceneritori, però ci deve spiegare cosa farà di questi soldi. Ovvero la bonifica interessa solo la Taverna del Re, quindi solo una piccola parte della Terra dei Fuochi, o inizierà una propria e vera bonifica quella che manca fino a questo momento. Noi vorremmo sapere quell'ecoballe che fine faranno" 

E' del tutto evidente che la questione si allarga alle varie emergenze rifiuti che si sono susseguite per decenni in Campania, i soldi sono arrivati come verranno impiegati? Li vogliamo impiegare per l'ecoballe, li vogliamo impiegare per progettare uno nuovo tipo di smaltimento o saranno soldi smaltiti su vari canali di corruzione coadiuvati da inefficienze amministrative e burocratiche. 

Sicuramente 450 milioni di euro è un punto di partenza, ma sicuramente importante, in questa fase, è proprio l'opinione pubblica vigili sulla reale attuazione delle bonifiche, altrimenti si rischia di perdere un altra occasione.

Occorre anche che la vigilanza dei cittadini anche attraverso i social network, delle denunce che arrivano su Facebook, siano raccolte dall'amministrazioni locali, le quali descrivono una situazione che è ancora in piedi, ci sono ancora fuochi dove continuano a bruciare nelle piazzole delle strade provinciali che unisce Napoli a Caserta.  
Secondo Legambiente i roghi si sono dimezzati negli ultimi anni, ma rimangono comunque troppi ed insopportabili. 

Occorre quindi lavorare sulla radice di questo male, in quanto i roghi non sono alimentati da rifiuti domestici ed urbani,  sono roghi di rifiuti speciali industriali. Evidentemente in Campania si continua a produrre in maniera illegale, fuori da ogni controllo. La Terra dei Fuochi continua a bruciare, non saranno i più 6.000 roghi che in un anno e mezzo, dal gennaio 2012 ad agosto del 2013 che avvelenarono l'aria sul confine tra le provincie di Napoli e Caserta ed altre zone nella provincia di Napoli, in particolare a ridosso del Vesuvio, ma gli incendi  segnalati dal comitato della terra dei fuochi, rimangono una bomba ambientale con effetti negativi sulla salute. Una situazione di drammaticità. 












lunedì 9 novembre 2015

Chi sono i veri disabili? (civiltà di un Paese)




Com'è l'Italia vista dalle cartine dei disabili prigionieri in casa per mancanza di sostegni, com'è l Italia vista con gli occhi dei bambini autistici o con quelli dei malati di SLA, com'è l'Italia vista da tutte quelle persone abbandonate da un Paese, anzi dalla speranza che finalmente un Paese si prenda cura di loro.
Sono stanchi delle promesse della politica, di fronte a Montecitorio, disabili per l'ennesima volta in piazza chiedono risposte certe. La tutela dell'autosufficienza non esiste più, e gli ultimi governi da Berlusconi passando per Monti ed infine nemmeno con Renzi la svolta è arrivata. 
E' stata questa l'ennesima delusione anche se i genitori dei disabili avevano tante speranze. Anni di un Italia che sembra abbia perso la funzione della solidarietà, perfino sul futuro della scuola dove le ore di sostegno sono sempre troppo poche. La civiltà di un Paese si vede proprio dal modo con cui si trattano queste fasce sociali più indifese, dietro ad ogni bambino, ad ogni disabile, ad ogni malato c'è una famiglia.
Allora ci si chiede se l'insufficienza di fondi per i disabili e un intollerabile sopruso verso i più deboli, o dalle tante rinunce imposte dalla crisi finanziaria, oppure una conseguenza di una gestione non sempre oculata degli aiuti? La risposta è la caccia alle streghe e si preferisce punire tutti per colpa di pochi falsi invalidi. La verità è che i fondi per le disabilità gravi o meno gravi non dovrebbero mai essere insufficienti sia per le persone curate in famiglia che per le persone soggette a gravi handicap che vengono curati in istituti, perché una nazione moderna e democratica dovrebbe avere tra le sue priorità la tutela delle persone più deboli e tra queste i disabili sono coloro che necessitano di maggiore attenzione non possono sempre essere le famiglie a doversi far carico dei loro cari più bisognosi.

Un ulteriore saccheggio


Che cosa è successo ai fondi che in questi anni avrebbero dovuto sostenere i disabili? E' successo che ancora una volta l'Italia è inadempiente rispetto alle stesse leggi che si da. Il nostro Paese ha anche adottato la convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità. Ha una legislazione molto ricca che alcuni Paesi ci invidiano, come ad esempio la legge 104 e le sue modifiche, c'è ne una in particolare che riguarda la vita indipendente delle persone. Sostanzialmente questo paese tra i più industrializzati in Europa, dopo la Germania, si permette il lusso di spendere molto meno degli altri Paesi europei, sia sulle politiche per la disabilità che sulle politiche sociali.

Seguendo un dato Eurostat nel 2009 afferma che la spesa pro capite in Italia è di 438 euro, mentre nel resto d'Europa di 531. Il 12 luglio a Bologna c'è stata la conferenza nazionale sulle politiche per la disabilità in cui si sono riempiti documenti, ma il governo è sordo, il taglio secco al fondo per le politiche sociali è sostanziale. 

Ammesso che si riesca ad accedere a questi fondi c'è sempre una burocrazia complicatissima da affrontare, anche perché, siamo tornati indietro facendo coincidere la disabilità con la malattia; non è così. La disabilità è una condizione umana che nasce da un deficit fisico, sensoriale o intellettivo, ma poi c'è tutta la vita da vivere. La parte medico sanitaria è garantita per fortuna in questo Paese ad un ottimo livello,  è tutto il resto che non funziona cioè la parte sociale, quella che dovrebbe partire dalla persona e costruire attorno alla persona un progetto di vita.


Purtroppo le burocrazie, al di là dei fondi, si sono come dire incartapecorite, ingessate, sono indietro di vent'anni, non hanno capito niente della convenzione ONU, lo dico con grande amarezza, ma è così, e continuano a sommergere di pratiche controlli fasulli, perché in realtà poi chi vuole evadere il fisco nel nostro Paese lo sappiamo, l'ho fa, quindi oltre alla campagna sui falsi invalidi, stiamo assistendo alla lotta ai finti poveri, con il risultato che poi ci vanno di mezzo le famiglie dove la disabilità esiste ed è reale, vera e non si sa più dove sbattere la testa, per queste persone c'è il diritto di vivere, non certo una vita da subire.


Tutto ciò che era bello sta diventando squallido


E' un'affermazione molto forte quella di un padre che spera che la propria figlia muoia prima di lui,  perché così almeno sta tranquillo. Se non c'è la famiglia che cosa accade visto che è rimasta l'unico sostegno a quanto pare delle persone disabili.? La cosa assurda è che la famiglia dovrebbe essere davvero il luogo delle competenze e dell'aiuto, durante la vita alla persona con disabilità, perché possa avere tutto ciò di cui ha bisogno per vivere al meglio, e invece è diventata il parafulmine, cioè tutto ciò che non va si scarica sulla famiglia, impedendo di fatto a molte persone con disabilità di farsi una propria famiglia, costruire un futuro che non sia solo sulle spalle dei genitori. E' una situazione che può essere risolta, può essere modificata soltanto con un grande sforzo complessivo di sistema non soltanto basato su interventi a pioggia o con piccoli finanziamenti, è proprio un modo di rivedere le politiche sociali mettendo in condizione anche le istituzioni, come la croce rossa piuttosto che gli altri enti di Welfare, di svolgere il loro lavoro accanto alle persone senza essere di volta in volta sballottati come è evidente nel video nel caso di Maria. 

Se cominciano ad avere difficoltà anche le strutture così solide i problemi si complicano in modo esponenziale per le famiglie, le quali  andrebbero supportate, invece a fronte di una quantità enorme di verifiche e controlli, si cerca con la scusa dei falsi invalidi un motivo pretestuoso per creare ostacoli, piuttosto che aiutare le famiglie. C'è anche la negazione di livelli essenziali di assistenza con strutture di indennità lacunose. Uno degli elementi fondamentali nei livelli essenziali è il nomenclatore tariffario, è completamente assurdo immaginare che un paese civile attui con un nomenclatore tariffario dell'anno 1999 per nulla aggiornato, ad esempio le persone sorde che oggi utilizzano apparecchiature acustici digitali, nel nomenclatore non hanno questo tipo di prodotto, per il semplice motivo che 1999 non c'era. Oggi viceversa, quando si va ad acquistare un apparecchio acustico non si trova l'analogico che stava nel nomenclatore del 1999, quindi le regioni, lo stato dovrebbero quantomeno svegliarsi ed adeguarsi.

Un'intollerabile sopruso verso i più deboli per insufficienza di fondi per i disabili che dipende soprattutto da una conseguenza di gestione non sempre oculata degli aiuti ed imposta dalle tante rinunce in tempi di crisi. 

Maria: "Forza ragazzi tenete duro"


Tempi di crisi che sfociano nell'imperdonabile follia.




martedì 6 ottobre 2015

Mazzini e l' Europa

Giuseppe Mazzini, protagonista del Risorgimento Italiano. Personaggio affascinante e carismatico precursore di molte idee progressiste per l'epoca dagli ideali fortemente repubblicani, noto anche per la sua idea di creare un unione tra i popoli europei. Dopo la GIOVINE ITALIA, il progetto mazziniano si fece ancora più ambizioso. A Berna, dopo l'esilio, diede vita alla GIOVINE EUROPA, un'organizzazione transnazionale che nel suo programma che avrebbe dovuto poggiare sulla giovine Italia, guida per i popoli greco/latini, la giovine Germania, che avrebbe tutelato e guidato i popoli germanici e la giovine Polonia per le popolazioni slave. La giovine Europa aveva sede in Svizzera (Berna), successivamente si aggiunsero la giovine Francia, la giovine Spagna e la giovine Svizzera. L'associazione politica si sciolse nel 1836, due anni dopo la sua fondazione e Mazzini fu bandito dalla Svizzera.

Mazzini precursore dell’Europa di oggi? 
Si può considerare Mazzini un precursore del processo di unificazione europea di oggi? A questa domanda hanno risposto alcuni studiosi del pensatore genovese, non molti in verità, e nei paragrafi successivi esporrò in modo particolareggiato le riflessioni di alcuni di loro; pur con alcune differenze mi sembra che abbiano concluso che Mazzini non può essere definito un propugnatore della costruzione di uno Stato Federale Europeo, ciononostante deve essere considerato tra i precursori dell’unità europea perché nel suo pensiero si trovano tutti gli elementi che stanno alla base dell’idea e delle ragioni che conducono alla costruzione dell’Europa. Da parte mia mi sembra opportuno aggiungere alcune brevi riflessioni sul parallelismo che vedo tra Mazzini e coloro che oggi si battono per la costruzione degli Stati Uniti d’Europa: i federalisti europei. Innanzi tutto occorre dire che esiste una analogia tra il processo di costruzione dell’unità italiana e quello dell’unità europea, mettendo in luce che solo Mazzini ed i suoi seguaci, che costituivano una minoranza tra coloro che propugnavano l’unificazione italiana, erano gli unici ad aver capito che l’unità non si poteva avere se si continuava a difendere l’esistenza e la sovranità degli staterelli italiani; questo era invece il pensiero del partito dei moderati, come il Gioberti che si illudeva di poter costruire una Confederazione italiana che lasciasse sostanzialmente la sovranità di questi immutata. L’unità d’Italia, come sappiamo, avvenne poi attraverso un processo diverso da quello propugnato da Mazzini, ma la sua critica all’idea confederale rimase fondamentale, come vedremo anche più avanti. Anche i federalisti europei di oggi, da Altiero Spinelli in poi, anch’essi una minoranza, sanno che per costruire l’unità europea occorre abbattere il falso mito dell’assoluta sovranità degli Stati nazionali. Senza questo fondamentale passaggio si possono, è vero, raggiungere anche livelli avanzati di integrazione come l’Unione Europea di oggi già dimostra, ma si tratta di un’unità precaria, sempre soggetta a ripensamenti ed opportunismi singoli, e comunque incapace di guidare efficacemente i paesi europei nei momenti di difficoltà. Ne è un esempio il comportamento dei paesi dell’Unione in questo periodo di crisi economica: invece di unire le proprie risorse per far fronte alla crisi ed alle nuove esigenze della globalizzazione, si illudono di mirare al risanamento delle proprie economie e delle proprie società nell’ambito dei rispettivi confini nazionali. C’è un secondo elemento da sottolineare nel parallelismo tra Mazzini ed i federalisti europei di oggi ed è quello della democrazia e della pace nel mondo. Mazzini concepiva l’unità italiana - e con essa anche l’unità di altre Nazioni europee allora non indipendenti - come indispensabile ma pur sempre un mezzo.

Lo scopo finale era la democrazia e la pace di tutta l’Umanità. Questo aspetto del pensiero di Mazzini è stato molto dimenticato dalla cultura “nazionalista” successiva, specie quella fascista, ma è il punto centrale della sua filosofia: non si può capire Mazzini se ci si limita a vederlo solo come un campione dell’unità italiana. È stato invece un campione dell’unità del genere umano, e questo spiega perché abbia avuto seguaci ed estimatori, ancor oggi, in tutto il mondo. È questo il legame con i federalisti di oggi che si battono per gli Stati Uniti d’Europa come primo passo per la federazione mondiale. L’errore che si può imputare a Mazzini
fu di credere che non fossero necessarie istituzioni sovranazionali ma bastasse costruire singole Nazioni democratiche perché ci fosse equilibrio e pace tra i popoli; ma questo è un errore che hanno commesso anche altri pensatori di tutte le correnti politiche, dai liberali ai socialisti, che non hanno compreso che il “nazionalismo” avrebbe poi soffocato i valori di cui erano portatori, a scapito sia della democrazia interna ai singoli stati, sia soprattutto della pace. Gli insegnamenti di Kant “Non ci sarà la pace senza un governo mondiale” sono stati facilmente dimenticati e sono stati ripresi, solo dopo la triste esperienza delle due guerre mondiali, dai federalisti del ‘900 come ad esempio Luigi Einaudi, Altiero Spinelli, i federalisti inglesi di Federal Union e Mario Albertini.
Mazzini e l’Europa: le argomentazioni degli studiosi
Gli studiosi di Mazzini sono numerosi ed alcuni di essi hanno dedicato le loro riflessioni proprio al rapporto tra Mazzini e l’Europa. Ho scelto di esaminare tre autori: Bianca Montale, Giuseppe Tramarollo e Andrea Chiti-Batelli, non solo per l’importanza delle loro riflessioni, ma anche perché tengono ampiamente conto dei lavori degli altri studiosi mazziniani. Bianca Montale ha diretto l’Istituto mazziniano di Genova ed è stata professore ordinario di Storia del Risorgimento presso le Università di Parma e di Genova. Giuseppe Tramarollo è stato Presidente nazionale dell’Associazione Mazziniana Italiana. Ha pubblicato numerosi scritti
relativi all’europeismo di Mazzini. Andrea Chiti-Batelli rappresenta il punto di vista di un intellettuale federalista. Uomo di vasta cultura è autore di numerose pubblicazioni.

Dal saggio “Mazzini e l’idea di Europa” di Bianca Montale.
 Innanzi tutto l’autrice sottolinea giustamente la concezione culturale che sta alla base della proposta politica di Mazzini che “non parla di cultura nazionale, ma europea”. Mazzini conosceva bene molti autori francesi (Voltaire, Rousseau, Condorcet), inglesi (Shakespeare, Byron, Shelley, l’economista Bentam) e tedeschi (Shiller, Schlegel, Goethe). Ne derivava una concezione culturale che gli consentiva di affermare che esisteva una unità morale dell’Europa, concezione che sta alla base della sua proposta politica sovranazionale.

Non riteneva infatti che fosse solo un problema di unità culturale, ma pensava che occorresse agire politicamente per ricercare un’organizzazione nuova che si rivolgesse all’Europa, alla quale l’Italia potesse dare un segnale: “il problema italiano non è isolato da un contesto più vasto a cui è strettamente legato: è un problema europeo”. L’unità italiana, così come l’unità della Polonia e della Germania, non era vista da Mazzini come un obiettivo a sé stante, ma come una tappa di un processo unitario universale, basato non sulla preminenza di una singola nazione (allora molti pensavano alla Francia) ma sul contributo paritario di tutti. È sulla base di questo pensiero che Mazzini fonda la Giovane Europa nel 1834. Al di là di quelle che saranno le effettive realizzazioni, dice Bianca Montale, la Giovane Europa rappresenta il progetto di ordinamento federativo della democrazia europea sotto un’unica direzione, e citando uno scritto del 1835, l’Europa “rappresenterà, come ultimo risultato della nostra epoca, una federazione, una santa alleanza dei popoli…”. Bianca Montale aggiunge, molto opportunamente, che Mazzini aveva ben chiara la differenza tra
“federazione” e “confederazione”, distinzione che non era allora ben chiara né in Italia né in Europa (d’altronde per molti non lo è nemmeno oggi). Egli giudicava criticamente la “confederazione” che conobbe attraverso l’esperienza della Svizzera (fino al 1849 la Svizzera era una Confederazione, poi adottò una Costituzione Federale pur conservando, come ancora oggi, il precedente nome) in quanto lega di cantoni con poteri ed ordinamenti diversi; Mazzini contribuì anche alla modifica della Costituzione svizzera. Nella sua concezione della Federazione Mazzini vedeva invece la possibilità di creare un vero legame tra i paesi europei, almeno nei campi più importanti come la politica economica e la politica estera. E su questi temi che si sviluppa la sua critica ai propugnatori della Confederazione degli Stati italiani, come ad esempio il Gioberti.
Tuttavia, sostiene Bianca Montale, non c’è in Mazzini un chiaro progetto istituzionale europeo: la Giovane Europa come le successive organizzazioni da lui promosse sono soprattutto organismi di collegamento dei democratici europei. La sua priorità non è la Federazione europea ma l’Europa delle nazionalità: “paesi liberi, indipendenti ed animati da ideali comuni, per una missione che è di tutti, di progresso e di pace”. Bianca Montale concorda con autori come Luigi Salvatorelli e Chiti-Batelli (quest’ultimo verrà esaminato oltre)
dicendo che quello di Mazzini può essere definito come “europeismo”, non “federalismo europeo”, al massimo gli si può attribuire una concezione simile alla “Europa delle Patrie”. L’attualità di Mazzini, sottolinea infine l’autrice, consiste nella visione della stretta interdipendenza tra unificazione politica ed integrazione economica, con una federazione di Stati equilibrati economicamente dove la circolazione dei prodotti, della scienza, della tecnica “non diventino monopolio dei pochi, ma si spandano sulle moltitudini a beneficio dei più”.

Dal saggio “La Federazione europea nel pensiero di Mazzini” di Giuseppe Tramarollo
Nel chiedersi se Mazzini possa essere stato o meno un precursore degli odierni disegni di unificazione europea, Tramarollo individua tre fasi del pensiero mazziniano sull’Europa. Nella prima fase, che comprende il momento della fondazione della Giovane Europa (1834), Mazzini identifica l’Europa con l’Umanità; l’Europa non sarebbe che un primo momento dell’ordinamento dell’Umanità intera, quasi come recita uno slogan adottato dai federalisti europei e mondialisti di oggi: “Unire l’Europa per unire il mondo”. Tuttavia Mazzini parla di “affratellamento” e di “associazione” ma non precisa mai gli aspetti istituzionali del suo pensiero. Tramarollo ribadisce, come ha fatto anche Bianca Montale, che Mazzini conosceva bene gli aspetti istituzionali del federalismo e la sua profonda differenza dal confederalismo; innanzi tutto conosceva (cosa rara) gli scritti e le idee dei federalisti americani: Madison, Jay, Hamilton, autori del The Federalist, testo fondamentale scritto per la ratifica della Costituzione federale USA, contro la posizione dei confederalisti che sostenevano invece la sovranità delle ex-colonie; inoltre aveva preso parte attiva alle iniziative della “Jeune Suisse” per la trasformazione in senso federale della allora Confederazione svizzera, cosa che avverrà nel 1849.

E la distinzione tra federalismo e confederalismo gli è ben chiara quando parla dell’unità d’Italia; ancora nel 1848 critica il Gioberti ed altri che propongono una confederazione, una “dieta italiana”; dice Mazzini “una dieta significa al più convegno di mandatari di Stati” gli stessi Stati che dividono l’Italia. La seconda fase del pensiero Mazziniano sull’Europa è individuabile, secondo Tramarollo, a partire dal 1858, con la proposta di costruire un partito d’azione europeo e poi nel 1865 con lo statuto dell’Alleanza Repubblicana Universale che poneva, come condizione per l’affiliazione, l’accettazione programmatica degli Stati Uniti d’Europa. Si passa così, dice Tramarollo, da un generico umanitarismo a una più concreta indicazione europea. Con la formula della Santa Alleanza dei Popoli, Mazzini preconizza un’Europa formata da Stati equilibrati in estensione e popolazione, non più ostili fra loro come accade quando rappresentano interessi di casta e di dinastie, bensì nazioni sorelle perché legate dalla democrazia. Bisogna precisare che Mazzini credeva in un radicale rifacimento della Carta degli Stati d’Europa, basata su un’Europa dei popoli che subentrava a quella dei re, con Stati equilibrati tra loro, non più derivati dal Trattato di Vienna, ma con nuovi accorpamenti come: Spagna con Portogallo; una nazione scandinava comprendente Svezia, Norvegia e Danimarca; una nazione germanica; una confederazione delle Alpi comprendente la Svizzera, la Savoia ed il Tirolo; una confederazione slava; una Grecia comprendente la confederazione dei popoli che formavano l’impero turco in Europa; e naturalmente un’Italia dalle Alpi alla Sicilia. In sintesi si può dire che in questa seconda fase del pensiero di Mazzini vi sia una visione di totale rinnovamento del quadro europeo, reso possibile dall’emancipazione delle nazioni che, non più rivali, avrebbero liberamente costituito gli Stati Uniti repubblicani d’Europa, nel quadro di una futura alleanza universale il cui nucleo esisteva già negli stati Uniti d’America. Nella terza fase del pensiero di Mazzini assistiamo invece alla scomparsa di ogni accenno federale o confederale europeo. Si è ormai costituita l’unità dell’Italia, seppure sotto la forma monarchica, e
Mazzini si pone nell’ottica dei problemi che il nuovo Stato deve affrontare: alla ricerca di un equilibrio tra le varie nazionalità egli si chiede come garantire all’Italia, ed in genere agli Stati minori, una difesa dalle possibili usurpazioni delle maggiori potenze. Per esempio ritiene che sia d’interesse per l’Italia un’alleanza con la famiglia slava, comprendente i gruppi iugoslavo, boemo e polacco. Si propone quindi Mazzini in questa fase di assicurare un equilibrio democratico tra gli Stati più forti e le confederazioni di Stati minori, senza però proporre un’autorità superiore alle singole nazioni che garantisca questo equilibrio, come invece aveva fatto nella seconda fase. Purtroppo la Storia dimostrerà poi come questa Europa delle Nazioni abbia alla fine portato gli stessi problemi, anche aggravandoli, che avevano caratterizzato l’Europa delle dinastie.

Dal saggio “Giuseppe Mazzini” di Andrea Chiti-Batelli
La tesi sostenuta da Chiti-Batelli è sostanzialmente questa: Mazzini non fu un federalista europeo, ma fu un precursore dell’Europa. Non esiste infatti in Mazzini un pensiero “europeo, inteso come convinzione della necessità di una unità sovranazionale del continente, indispensabile per garantire un ordine democratico pacifico e stabile in Europa”. E ciò perché anche in Mazzini esisteva “l’illusione ell’omogeneità”, vale a dire la convinzione che sarebbe bastato che tutti gli Stati fossero democratici e repubblicani per garantire la concordia, la pace ed il progresso, senza bisogno quindi di creare strutture statuali sovraordinate. Si tratta della stessa illusione coltivata da altre correnti di pensiero, democratiche o liberali o socialiste: tutte ritenevano che bastasse avere forme di governo identiche tra i singoli Stati per assicurare automaticamente la concordia e la collaborazione. La Storia ha sempre dimostrato che ciò era illusorio: abbiamo assistito a guerre tra paesi di identica religione o di identico sistema politico, democratici contro democratici, liberali contro liberali, socialisti contro socialisti. Mazzini era invece convinto che fosse solo l’Europa dei principi ad essere bellicosa, mentre l’Europa dei popoli non lo sarebbe stata.
Mazzini non era un federalista, aggiunge Chiti-Batelli, anche perché non concepiva una limitazione della Nazione né verso il basso (federalismo interno) né verso l’alto (federalismo sovranazionale); non verso il basso perché era contrario alla “regionalizzazione” dell’Italia e non verso l’alto perché intendeva l’indipendenza delle varie nazioni europee come sovranità statale assoluta, condizione indispensabile per adempiere alla “missione” cui erano chiamate.
In questo quadro Mazzini pensa alla Giovane Europa non come destinata a promuovere l’unità del nostro continente, ma a favorire la creazione di regimi democratici e repubblicani in Italia ed in ogni paese. Secondo quindi Chiti-Batelli, Mazzini non può essere considerato come precursore del progetto di Federazione Europea, almeno in senso tecnico; al massimo si può dire che propugnasse uno “stato d’animo europeo”, non certo uno Stato continentale. Ciononostante, ed è importante questa osservazione di Chiti-Batelli, Mazzini ha lasciato germi fecondi che ne fanno un precursore dell’Europa e per questo  merita quindi di essere più conosciuto e studiato.
Infatti continua ad essere di attualità la concezione religiosa che egli aveva della “solidarietà tra i popoli”, per la difesa della democrazia e della giustizia, contro la conservazione e contro il culto della ragion di Stato ed il disprezzo dei diritti dell’individuo.
Questa concezione della solidarietà implica l’idea della obbligatorietà morale dell’intervento internazionale contro la pretesa della assoluta sovranità degli Stati. Ne discende che tale obbligatorietà si deve basare su un fondamento giuridico, grazie ad una Costituzione che riconosca un ordine statale sopra gli Stati: ciò vuol dire creare un nuovo diritto internazionale e creare un sistema federale. Il valore e la grandezza dell’insegnamento di Mazzini quindi non stanno tanto nella sua vaga concezione dell’Europa e nemmeno nell’azione europea della Giovane Europa, azione che non ha mai avuto del resto obiettivi sovranazionali. Sta invece, conclude Chiti-Batelli, nella sua convinzione che “la democrazia, la libertà, la difesa della dignità dell’uomo o sono solidali a livello europeo o sono destinati a perire”.
Dall’Europa dell’800 ad oggi
Dopo aver visto, attraverso l’esame di importanti studiosi, gli aspetti più significativi del pensiero di Mazzini sull’Europa, credo sia opportuna anche un’osservazione sui contemporanei di Mazzini. Occorre ricordare che l’Europa della prima parte dell’800 era quella uscita dal Congresso di Vienna, quella del “concerto europeo” che garantiva una forte stabilità tra gli Stati; il ricorso alla guerra aveva un carattere eccezionale.
Questa condizione di equilibrio sostanzialmente pacifico, osserva Mario Albertini, favoriva la convinzione che l’unità europea fosse sicuramente destinata a rafforzarsi e che anche la nascita dell’Europa delle Nazioni avrebbe inevitabilmente aumentato il liberismo internazionale e la collaborazione pacifica.
In questo contesto trovavano spazio anche gli interessi e gli ideali della Chiesa, per loro natura eminentemente sovranazionali, ed il Gioberti si fece promotore di questo pensiero. Era quindi diffusa tra gli intellettuali promotori dell’unità italiana, sia i moderati, sia i più rivoluzionari mazziniani, l’idea che l’Europa, pur articolata in Stati sovrani, avrebbe in qualche modo assicurato un sistema politico unitario, indipendentemente dalla creazione di istituzioni statuali sovranazionali. L’unico autore critico di questa posizione fu Carlo Cattaneo, che sapeva che senza istituzioni adeguate l’equilibrio tra gli Stati non avrebbe potuto essere garantito. “Avremo pace vera quando avremo gli Stati Uniti d’Europa” è la frase di Cattaneo che sintetizza la sua posizione federalista. Si può quindi affermare che in tutte le componenti del Risorgimento italiano fossero ben presenti gli ideali sovranazionali.
E gli ideali Mazzini, come abbiamo visto, erano sicuramente ideali sovranazionali, come compendia la sua frase “La Nazione è il mezzo, l’umanità è il fine”. Quando cambia questo modo di vedere le cose? Raggiunta l’unità italiana - anche se, come sappiamo, attraverso un processo che vide Mazzini emarginato – il nuovo Stato si trovò in un contesto europeo modificato, dove altri Stati operavano per un loro rafforzamento, anche militare, Germania e Francia in particolare: per l’Italia fu necessario seguirne l’esempio, farsi potenza tra le potenze.
Secondo Albertini è in questo momento che si passa da un diffuso sentimento sovranazionale europeo alla concezione “nazionalistica”, all’abbandono cioè dell’idea, specie mazziniana, della Nazione portatrice di valori di pace e di fratellanza: è la Nazione stessa che diventerà un valore a se stante, che soffocherà e sottometterà gli stessi valori democratici, liberali e socialisti. Fu così che non nacque l’Europa sognata da Mazzini, ma quella che portò all’esasperazione del nazionalismo e successivamente anche alla tragedia delle due guerre del ’900.
Non sempre la lezione della storia è sufficiente. Ancor oggi, ovunque nel mondo, domina l’idea della inviolabilità della sovranità nazionale e il ruolo dell’ONU viene frenato da questo falso mito, sempre più inadeguato di fronte alle esigenze di un mondo fortemente integrato: dalle tematiche ambientali, a quelle economiche, a quelle sociali, e soprattutto dalla necessità di evitare conflitti armati.
Analogamente in Europa, dove fortunatamente è in corso un processo di unificazione molto avanzato, unico esempio nella storia umana, la pretesa della sovranità nazionale viene purtroppo sempre invocata e costituisce un freno alla completa realizzazione della sua unità politica. Se ciò non cambierà, il mondo continuerà ad essere nella condizione di perenne anarchia internazionale e gli ideali che furono di uomini come Mazzini non riusciranno ad affermarsi.

Centro culturale "Il Tempietto" Genova






giovedì 1 ottobre 2015

Riserva di lavoro




L'Europa deve accettare i migranti per preservare la sua forza lavoro da una contrazione ulteriore. Abbiamo bisogno di più lavoratori per accelerare la ripresa. 
Vitor Costancio (vice presidente BCE)


Facciamo un ragionamento macroecononcio se parliamo di politica e di immigrazione. In Europa oggi ci sono circa 300 milioni di lavoratori e sono quelli che hanno una serie di diritti. Da una parte c'è un mondo in una situazione disastrosa, pensiamo all’Africa, all’Asia, dall'altra i centri di potere, le grandi banche, le grandi finanziarie, i padroni veri dell'Europa.

Tutte queste entità hanno bisogno che questi lavoratori abbiano meno diritti, per massimizzare i profitti. Cosa devono fare per adottare questo? Nelle sponde dell’Africa ci sono 100 milioni di persone dai 15 ai 35 anni, disponibili a venire in Europa a fare qualunque lavoro, perché qualunque cosa facciano qua, stanno meglio che la, con tutto il disastro che sappiamo. 

L'Europa favorisce questo perché come diceva Marx quello è un esercito industriale di riserva, finché c’è un esercito industriale di riserva, i diritti di quelli che lavorano possono essere sopraffatti. Cosa si può fare? Una scelta del razzismo e della xenofobia o quella invece di rivoltare il guanto?

La sinistra ha pensato ai diritti individuali borghesi degli immigrati includendo perfino la moschea. Cosa ce ne frega della moschea se fino a quando il lavoratore immigrato non ha lo stesso diritto sociale e sindacale del lavoratore italiano viene visto dal lavoratore italiano, obbiettivamente, come un nemico. Per cui non bisogna arrestare l'immigrato, bisogna arrestare quello che gli da lavoro.

Questa non è un operazione di un imprenditore o il piccolo artigiano messo al muro, il problema è più globale di una spinta alla volontà dell’immigrazione. Una spinta che viene dall'Europa, perché serve a distruggere le rigidità del mondo del lavoro, dei diritti dei lavoratori. 

Queste persone vengono usate come esercito industriale di riserva per abbattere le condizioni dei lavoratori. Pensiamo ai tassisti. I tassisti conservano una loro dignità di lavoro, se arriva un ricco un grande padrone che compra 10.000 tassì a Milano o a Roma, ci mette dentro 10.000 marocchini e gli da 600€ al mese, questi sono contenti. Sono contenti perché dormono dentro l’automobile e fanno più o meno, certamente più malamente, un servizio di tassì. Questa è la società in cui noi stiamo andando, o mettiamo in discussione il modello societario oppure la politica può parlare delle piccole cose e delle briciole. 

Occorre provare a spiegare una cosa, questo modello, questo sistema che c’è in Europa, che c’è nel mondo è un sistema decisamente in crisi. Ci sono due linee di chi davvero detiene il potere che sono organismi non eletti, la Troika, l’FMI, BCE; organismi che influenzano davvero il corso degli eventi. Una linea è quella di spremere la mucca fino a farla praticamente, morire, ed è quello che è successo in questi anni, poi c’è una seconda linea, di questi benefattori, che dicono che non bisogna esagerare,

se la mucca muore salta tutto con qualche rischio. Queste sono le due linee che si combattono, quindi, da un punto di vista teorico, potremmo dire che chiamiamo capitalismo questa roba qua? Una volta il capitalismo organizzava il consenso, oggi si è raffinato, organizza anche il dissenso. Dissenso che si chiama Podemos in Spagna e Sypras in Grecia, ma non hanno nulla da temere, in quanto se avessero davvero da temere oggi i mercati crollerebbero. I mercati non crolleranno, non succederà nulla. Perché molto semplicemente Sypras sta dentro questa ipotesi, la politica non conta quasi più nulla, la politica è di supporto a questa grande economia e quella politica lì non rompe, per cui è chiaro che dal punto di visTa della propaganda è stato detto tutto e l’incontrario di tutto. Tra l’altro in Grecia c’è un forte partito comunista che fa grandi mobilitazioni, queste mobilitazioni sarebbero indirizzate davvero al cambiamento dei rapporti di forza del Paese. Intelligentemente questi meccanismi di potere sovranazionali abbiano detto “Ma in Grecia sta per saltare tutto, ci sono i comunisti che mobilitano centinaia di migliaia di persone”. C’è questo ragazzotto bello, capace, rampante per niente stupido e leggo sui giornali - Sypras, "Io come Renzi, cambieremo verso all’Europa, la nostra sintonia è naturale”. Adesso cosa succede? Ci saranno i nostri sinistrorzi, perché c’è un popolo di tifosi davanti al televisore, guardano Santoro, guardano Floris dicono che sei stato bravo che hai detto quello e quell'altro ecc. ecc., fanno una manifestazione l’anno, sono tutti molto attenti a tutte queste dichiarazioni, questi qua non cambieranno nulla. Diciamo che, la tolla di comando che schiaccia i salari non ha da temere nulla, perché questa narrazione, il capitalismo, è bravissimo a farlo, il capitalismo è bravissimo a manipolare le proprie responsabilità. Quindi trova in uno come Sypras la possibilità di fare tanto rumore per nulla. 

Pape Diaw - immigrazione -

Ricordiamoci anche che la Grecia è l’1,8% del PIL europeo, usata precedentemente come grimaldello, ovvero laddove non ci sono politiche di rigore si schiacciano i pidocchi, facendo vedere cosa accade, per colpire l’Italia, per colpire la Spagna, che sono economie e Paesi ben più grandi. L’1.8% del PIL è come se a Roma in via del Corso sta per fallire un negozio, fanno una colletta e chiudono lì, la Grecia ha lo stesso parametro. I margini del riformismo con personaggi di Sypras e Podemos non si possono più fare, perché c’è la caduta tendenziale del profitto, perché c’è una crisi quasi irreversibile di sistema, quindi ad un certo punto l’alternativa, che ci troviamo davanti, non è tanto no euro o si euro, il problema è cambio di sistema, in un sistema socialista. Fate attenzione che le televisioni ed i suoi commentatori dicevano “In realtà Sypras non sta dicendo che farà il socialismo, ma dice cerchiamo di uscire dalla crisi”. Ma quei margini di riformismo lì sono finiti, farà come Bertinotti quando chiese a Prodi le 35 ore di lavoro, l’altro gli rispose, te le do con un disegno di legge. Le stesse parole che si usano oggi per Sypras, si usavano qualche anno fa per Hollande, l’avete visto il rivoluzionario, mesto e tapino in mezzo alle potenze del mondo? Sypras farà la stessa fine. Il capitalismo mondiale può stare tranquillo, d’altronde loro lo sanno di essere tranquilli. 

Riassunto dei vari interventi televisivi di Marco Rizzo (PCI) 

giovedì 10 settembre 2015

Leaderismo



“Il leaderismo contiene un ambiguità di fondo nei confronti della democrazia: si pone come difensore della restituzione ai cittadini dello scettro della politica contro i traditori che se ne sono impossessati, ma nello stesso tempo scivola verso forme di leadership, carismatica che sono la negazione della democrazia.” Pirgiorgio Corbetta - giornalista -



Oggi la politica è in una crisi profonda, le ideologie sono morte, il loro posto lo hanno preso il leaderismo, la comunicazione ed il marketing. E' sufficiente la lettura dell’esposizione mediatica del funerale di Casamonica, dove il suo punto più alto lo ha raggiunto nella trasmissione televisiva su RAI1, “Porta a Porta. 

In qualche modo siamo tutti costretti, compreso il presidente la repubblica, ad operare in una 

sorta di terra di nessuno con il rischio che una normale crisi politica possa sfociare in una catastrofe. Non c'è nulla di più inquietante di un liberismo senza contrappesi e senza regole certe. In nessun caso comunque il capo del governo può tenere saldamente nelle sue mani due poteri: quello esecutivo e quello legislativo, i quali devono essere distinti e separati.

Si torna quindi a dover fare i conti con l’aberrante novità, tutta italiana, di un parlamento assunto e quindi agli ordini dei proprietari dei singoli partiti, che diventano dei veri e propri datori di lavoro dei deputati e senatori. Insomma un pasticcio di un sistema elettorale che non rispecchia la volontà dei cittadini e che con l’Italicum, la nuova legge elettorale produrrà un cataclisma di rappresentanza. 

Un congegno in atto per impoverire la democrazia, espellendo al parlamento tutte quelle espressioni politiche e culturali che davano comunque voce alle diverse istanze provenienti dalla società, impedendo ad una fetta significativa dell'elettorato italiano di poter avere una propria rappresentanza istituzionale.

I grandi mutamenti politici e istituzionali, che hanno sconvolto l'Italia a partire dagli anni Novanta, non hanno ancora trovato un inquadramento analitico soddisfacente. Abbondano metafore alquanto ingannevoli che parlano di seconda e addirittura di terza repubblica, ma si tratta solo di formule ad effetto che non aiutano a comprendere i processi reali. 


Una riflessione d'insieme per interpretare i nuovi paradigmi costituzionali e per scandagliare i soggetti sociali ed economici emergenti che ridisegnano la mappa dei nuovi poteri. Il quadro che emerge dalla ricognizione del caso italiano dopo il collasso dei partiti storici, descrive un lento crepuscolo del politico dinanzi al rilievo preponderante assunto da denaro e media. Il rischio incombente è che la crisi della rappresentanza politica e sociale conduca ad una malattia mortale della sfera pubblica dalla quale possa emergere il capo carismatico quale commissario di una repubblica minata dal populismo e dal leaderismo. 

La gravità della crisi italiana rilancia con forza le prospettive di un costituzionalismo democratico quale antidoto alla deriva da tempo in atto delle culture istituzionali.

In sostanza, stiamo da tempo assistendo ad una radicale ristrutturazione degli “spazi politici” e questo pone interrogativi sulla democrazia e sul suo futuro come sistema delle decisioni, del governo e della stessa vita sociale. Interrogativi inquietanti perché sono gli effetti di questi processi a preoccupare per le sorti della democrazia,effetti di un processo di progressiva leaderizzazione della politica. 
È l’evoluzione di una società di massa individualizzata, egoista, atomizzata e spoliticizzata (il dato dell’astensionismo), nella quale si affievoliscono le solidarietà lunghe e in cui è sotto gli occhi di tutti la crisi delle rappresentanze come finora le abbiamo conosciute.

Il discorso della politica si contrae, si spettacolarizza sintonizzandosi sui desideri di un pubblico spettatore. Alla riflessione e all’analisi di un tempo subentrano le tecniche di marketing, di sondaggi e di comunicazione; il respiro della politica si fa poco più che un cinguettio. Tanto è vero che, si dice spesso, per vincere le elezioni la politica deve parlare alla pancia, più che alla testa degli elettori. Ne conseguono una società indebolita, più tentata da reazioni emotive più che dalla fatica del conoscere e pensare, in definitiva una politica istantanea. La progressiva perdita di sovranità degli Stati per effetto della globalizzazione, la rende di fatto disarmata a controllare, a contenere, a governare, le turbolenze prodotte dallo strapotere dell’economia e della finanza.




Leaderismo e personalizzazione nella politica

Dopo la fine dell’epoca delle ideologie ora sembra finire anche l’epoca dei partiti. Fenomeni come la personalizzazione o il leaderismo si affermano sempre più nella politica contemporanea prendendo il posto che era una volta dei partiti di massa. La maggioranza dei partiti sembra debole e male organizzata sul territorio: i partiti di oggi sembrano giganteschi comitati elettorali poco radicati tra le persone, anzi, per meglio dire, molto lontani dalla gente, dal mondo reale.

Nella società contemporanea, società dei consumi, società dell’immagine,società del turbo-capitalismo, ebbene in questa società è oltremodo importante il marketing e la comunicazione e un leader politico fa un uso accurato di entrambe le cose. Il partito assomiglia sempre più ad un brand, ad un prodotto da vendere e da propagandare.

Il leader rappresenta uno strumento formidabile per la raccolta del consenso e per il mantenimento di quest’ultimo. Allo stesso tempo, il leader riesce a risolvere i problemi e le sfide che le comunità e le società propongono? O le sue sono solo parole vuote, slogan, promesse e fantasmagorie varie? Risulta molto evidente che il leader si serve di un linguaggio mediatico vuoto e inconsistente e questo spesso coincide con i risultati che tale leader ottiene.

Siamo in un periodo storico in cui la politica e i governi sono sudditi dei poteri forti, delle lobbies, delle multinazionali. Siamo in un periodo storico in cui lapolitica è svuotata del suo valore di democrazia di rappresentanza. In questo particolare periodo il leader politico risulta un ottimo comunicatore e imbonitore di masse, ma sia esso che la politica di cui si fa portavoce risultano vuoti, senza senso, inutili, inconcludenti.

Il leaderismo e la personalizzazione si affermano in un’epoca di post-democrazia in cui il cittadino comune sceglie spesso il disimpegno verso la politica e in cui il voto elettorale, caratterizzato da alto astensionismo, risulta come un atto vano e senza alcun senso. Una condizione di post-democrazia in cui i diritti acquisiti da tempo sono negati in modo graduale, in cui viene meno la partecipazione del cittadino alla gestione della cosa pubblica e in cui la democrazia diretta diventa una mera utopia.

Oltretutto la politica e la democrazia di rappresentanza sono “ostaggio” dellamanipolazione mediatica e di un’opinione pubblica forte e a senso unico. La manipolazione mediatica porta a fenomeni come la gogna mediatica, laspettacolarizzazione delle notizie, il sensazionalismo, la suggestione etc.

Leaderismo e personalizzazione nella politica sono fenomeni che ben si inquadrano nella società dell’immagine e della manipolazione mediatica. Società dell’immagine che propone mitologie, icone pop, divi da adorare, supereroi e tanto altro: i leader politici sono la “versione politica” delle icone pop del mondo dello spettacolo, del cinema, della moda, dello sport etc.
Fonte: SYSTEM FAILURE Informazione libera e indipendente.

venerdì 10 luglio 2015

La formula magica


Ventisei cantoni, 2.400 comuni, quattro lingue ufficiali (tedesco, francese, italiano, romancio e alcune minoranze linguistiche), religioni diverse e un tempo, gli antenati degli Svizzeri di oggi, si sono fatti pure la guerra. Sembra l’Europa in piccolo, ma è la Svizzera.

La Federazione attuale si basa su una coesione molto forte della popolazione e uno dei pilastri della solidarietà politica dei cittadini svizzeri è quello della democrazia diretta: la popolazione può dire la propria - nel vero senso della parola e non solo per esprimere un parere – dal livello amministrativo comunale fino alle decisioni cantonali e federali. Possono proporre e decidere anche modifiche della costituzione e delle leggi.

I cittadini svizzeri vanno alle urne in media ogni tre mesi per decidere su questioni che possono andare dal tipo di pavimentazione di una città e dei suoi costi, alla necessità di ammodernare delle infrastrutture di trasporto, ai diritti civili delle coppie omosessuali, al prefissare un limite alle retribuzione dei manager.

Insomma i cittadini esercitano un ruolo attivo nell’amministrazione e nella politica e questo aspetto modella la struttura federale in una maniera unica al mondo: non esiste una contrapposizione governo (consiglio federale) e opposizione. I rappresentanti politici dei maggiori partiti, nominati dal parlamento, governano in modo collegiale e lavorano per cercare un consenso della popolazione.




E l’opposizione? Siamo noi si sente dire spesso dai cittadini svizzeri. Possiamo intervenire su tutto e senza il nostro consenso non succede nulla.

Lo scorso 9 giugno 2013 si è votato in Svizzera su due temi: regolamentazione più restrittiva del diritto d’asilo politico e nomina diretta dei membri del governo. I cittadini hanno approvato il primo tema, il sentimento popolare è stato: maglie troppo larghe nel sistema in cui si insinuano richiedenti non adeguati. E hanno respinto il secondo tema: poca chiarezza sul tetto di spesa in campagna elettorale e pericolo di vittoria dei candidati e dei partiti più ricchi. Meglio che sia il parlamento a nominare l’esecutivo.




I processi decisionali in Svizzera, a causa di questo meccanismo, sono spesso più lenti, ma alla fine, presa una decisione, la stabilità è garantita. 

Molti studi su questo sistema di democrazia hanno messo in evidenza uno stretto rapporto tra partecipazione alle consultazioni e buoni risultati economici del territorio. Dato che i cittadini, esprimendosi anche su temi economici e finanziari, alla fine esercitano un controllo della spesa pubblica.

Tuttavia i territori non sono in competizione e non esistono recriminazioni se un Cantone produce un Pil superiore rispetto a un altro. Un sistema di perequazione garantisce la redistribuzione della ricchezza. E l’organizzazione così com’è non è messa in discussione, perché quello che conta è la forza della Federazione nel suo complesso.



Ancora una volta viene da pensare all’Europa. A come potrebbe essere.

giovedì 18 giugno 2015

Brexit e Grexit (rivelazioni)



Brexit e Grexit: due neologismi che descrivono l’incertezza che sta turbando il “Vecchio Continente”. Se i rumors sull'uscita dall'unione del Regno Unito e Grecia dovessero essere confermati, muterebbero inesorabilmente gli equilibri tra i Paesi membri.

La questione inglese è tornata alla ribalta dopo le ultime elezioni, che hanno confermato il premier conservatore Cameron, grazie anche ad una campagna incentrata sulla revisione del ruolo britannico in Europa; entro il 2017 un referendum popolare deciderà sulla permanenza nell'UE.

Intense le trattative tra Londra e Bruxelles, il Regno Unito chiede maggior coinvolgimento nella politica estera europea, ma il nodo origine del malcontento nella classe media inglese è la libertà di circolazione di cittadini europei. In molti scelgono come nuova Patria il Regno Unito, usufruendo dei sussidi sociali pagati dai sudditi britannici. In sostanza Cameron rivendica per il suo Paese autonomia decisionale e gestionale.

Berlino e Parigi non sembrano disposti a scendere a patti, (l’Italia?) per evitare un susseguirsi di pretese che, se respinte, potrebbero creare gravi incidenti diplomatici.
Per la Grecia la questione assume toni diversi: non si tratta di prestigio, ma di sopravvivenza.
L’uscita greca dall'eurozona è ora auspicata dal fronte interno al partito del premier Tsipras che non vuole cedere alle dure linee di pagamento imposte dall'UE per saldare i debiti contratti con gli altri Paesi e con il Fondo Monetario internazionale (FMI).
Se si rispetteranno le scadenze c’è il rischio di oltrepassare la “linea rossa” oltre la quale non saranno garantiti stipendi e ammortizzatori sociali.


Ancora austerità e sacrifici, per una popolazione già stremata.
Se la Grecia fosse abbandonata a se stessa, il quesito è: chi è il prossimo?
Intanto la trance di pagamento prevista per il 15 luglio sembra a rischio.

La gabbia
Per uno Stato membro è possibile uscire dall'Unione Europea, mentre è più problematica l’uscita dall'Euro. Con l’art. 50 del Trattato di Lisbona si delinea il percorso di uscita di uno Stato membro dall'UE, con l’utilizzo della cosiddetta “procedura di recesso” in tre tappe:
  1. comunicazione al Consiglio europeo
  2. negoziazione tra l’Unione e lo Stato membro
  3. delibera adottata a maggioranza qualificata dal Consiglio approvata dal Parlamento europeo
Per quanto riguarda la possibilità di uscita dall’Euro viene articolata nel seguente modo: per l’art. 140 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ilo Consiglio europeo “deliberando all'unanimità” degli Stati membri la cui moneta è l’Euro e dello Stato membro in questione, su proposta della Commissione e previa consultazione della Banca centrale europea (BCE), fissa irrevocabilmente il tasso al quale l’Euro subentra alla moneta dello Stato membro in esame e prende le altre misure necessarie per l’Introduzione dell’Euro come moneta unica nello Stato membro interessato, ma se fosse esclusivamente il tasso di cambio dell’Euro un Paese potrebbe andarsene, ma non essere espulso. Per uscire dall’ Euro, tuttavia, si deve uscire prima dall'Unione Economica e Monetaria (UEM) e, dunque, dalla zona Euro. Per recedere dall’UEM è necessario recedere dall'Unione, come abbiamo visto per l’art. 50 TUE.


Rivelazioni parte 1





Rivelazioni 2 parte






Per approfondire 2 video di Claudio Messora, che ringraziamo.

Il funzionario oscuro che fece paura a Kohl"




Come ci hanno deindustrializzato



giovedì 30 aprile 2015

La buona economia

Occorre convincersi che esiste un alternativa all'economia che oggi viene propagandata trasformando i tre assunti del marketing “Product, Price, Promotion” (Produzione, prezzo, promozione) in “Planet, People, Profit” (Pianeta, Popolo, Profitto). 
L’articolazione dell’economia è piuttosto interconnessa su vari piani. Sicuramente la cognizione che si ha in qualche maniera frequentato su quelle fonti, su quelle rare fonti alternative che ci lascia il sistema mediatico è un altro aspetto di un economia che non sarebbe possibile in questa forma se non esistesse il controllo mediatico che è presente attualmente.

Prendiamo ad esempio la continua richiesta dei mercati e dello stesso Draghi, governatore della BCE, di una continua crescita per essere produttivi e competitivi. Dunque immaginiamo un economia dove in un ristorante il cuoco prepara ininterrottamente delle pietanze una dietro l’altra, l’unico elemento indispensabile per il ristorante è l’assenza dei clienti che consumano quelle pietanza. Secondo Draghi quel ristorante è cresciuto aumentando la sua produttività compreso il suo guadagno solo per essere stato competitivo alla preparazione dei piatti e non per il suo consumo. Se non c’è la domanda quelle ottime pietanze che il cuoco con tanta cura ha preparato verranno date in pasto ai cani randagi che si trovano a passare nelle vicinanze di quel ristorante. In sintesi se non esiste una domanda non può esserci un offerta e se non esiste il lavoro l’offerta rimane congelata, producendo a cascata un economia sempre più austera. 

Il mercato del lavoro oggi è strutturato sullo sfruttamento non essendoci un gioco equo. Le persone devono lavorare per mangiare, ma le imprese assumono solo se vogliono o pensano di fare profitto, non è un confronto paritario questo. Se non c’è una forma di sostegno al lavoro, i salari reali saranno costretti ad andare verso il basso, fino ad arrivare ad un livello di sussistenza. Mentre la quota che va ad un surplus di altri settori invece aumenta. Per esempio negli Stati Uniti sotto la presidenza di Reagan, gli essenziali sono stati smantellati ed il loro ruolo è stato di molto ridotto con il successivo smantellamento delle associazioni dei lavoratori da parte della competizione globale. Il lavoro ha perso, quindi, il sostegno con il salario, negli ultimi quarant'anni, praticamente stagnanti, anche se la produttività è aumentata. Ed i guadagni di produttività sono confluiti soltanto nella classe imprenditoriale, con il settore dei lavoratori completamente ignorato. Ogni economista attuale sa che il mercato del lavoro non è un gioco equo. Tutto ciò che si può osservare non è una conseguenza del libero mercato e della buona economia. 

Innanzi tutto la buona economia è un principio che è stato perso da molto tempo. In una buona economia le imprese competono per il lavoro, ma è anche vero che esiste una carenza di persone che lavorano per le imprese, e tutti vorrebbero assumerti facendo una formazione per il personale assunto, assunzioni degli studenti prima che terminano il corso degli studi. Se sarebbe necessario cambiare lavoro perché ci sarebbero sempre imprese disposte a nuove assunzioni, questa è la maniera in cui la buona economia dovrebbe funzionare, adesso è tutto il contrario. La ragione è molto semplice, il deficit di bilancio di uno Stato è troppo piccolo. 

Non appena si è cominciato a tagliare, a ridurre il deficit da molto tempo a questa parte, si è tramutata una buona economia, studiata per le persone perché le persone erano la variabile più importante, ad una economia che è un crimine contro l’umanità

Cominciamo con l’emissione della moneta. La moneta è un credito fiscale, un credito per le tasse. Un tempo si poteva andare presso il governo di uno Stato e chiedere oro in cambio del valore nominale della moneta, ora non è più possibile. Dunque come si diceva, con la moneta in corso, si possono pagare le tasse, che il governo accetta per il pagamento delle tasse. Se prendiamo un pezzo di carta per pagare una somma di denaro in tasse e il governo le accetta, il pezzo di carta acquisisce il valore della somma di denaro che gli si attribuisce. Nella stessa misura il governo garantisce dei crediti per le corporazioni finanziarie tramite un pezzo di carta. Un secondo punto da sottolineare e che molto spesso dimentichiamo, è che la moneta ha un ruolo pubblico, con la moneta per pagare le tasse messe in circolazione esclusivamente dal governo. Conseguentemente prendiamo la moneta dalle banche per pagare le tasse, molto velocemente ci si indebita verso gli istituti di credito che a sua volta creano la moneta ed il governo, tramite la banca centrale, sottrae dai conti delle banche e quindi delle riserve, lo stesso ammontare di tasse che si devono pagare, moneta che viene dal governo. 

Questo significa che all'inizio dei tempi il governo prima deve spendere e poi ottenere la sua moneta per il pagamento delle tasse. L’UE ha posto dei vincoli rispetto a questo processo rendendo il sistema non naturale, più complicato. Tutti i parlamentari statunitensi sono convinti che prima si devono pagare le tasse per poi spendere e tutto quello che non si riesce ad ottenere attraverso le tasse, bisogna chiedere ad altri Paesi o investitori esteri, questo è praticamente impossibile e tutti quelli che lavorano per le banche centrali lo sanno. 

Se guardiamo ai conti della banca centrale e se ci si pensa un po, il governo prima spende e successivamente riceve il pagamento delle tasse: banalmente, perché i cittadini hanno bisogno della moneta del governo per pagare le tasse. Cosa significa che la moneta è un monopolio pubblico dire che è un monopolio? Il monopolio della moneta significa che il mercato non crea i prezzi, non è una situazione competitiva. E’ una condizione molto semplice da spiegare a chiunque i 5 minuti, invece la competizione, la finanziarizzazione, al contrario è molto complicato, un rebus dove i cittadini non hanno la facoltà di comprendere, tanto sono le variabili in gioco. 

Il monopolio è semplice, una persona ce l’ha e gli altri no, il monopolio è la parte facile della storia economica. Quindi che cos'è il deficit? Tutti siamo convinti che è una forma di indebitamento, e per la nazioni europee in realtà è così, ma non è detto che sia così, non è iniziato così il processo della storia economica. Se la banca centrale non garantisce il debito pubblico degli Stati, sarebbe accaduto il disastro in cui ci troviamo oggi. Il deficit è quando il governo spende una certa quantità di moneta con l’esito che due cose possono succedere a quella moneta:
a) quella forma di credito per le tasse che viene poi usata per pagare le tasse
b) quella forma che non viene utilizzata per pagare le tasse.
Significa che qualcuno ancora ha quella moneta, o che qualcuno potrebbe spenderla e così via. Questo vuol dire che la moneta viene utilizzata per pagare le tasse o resta nell'economia sotto forma di risparmio. Come insegnano nelle scuole di contabilità nazionale, il deficit governativo corrisponde ai risparmi privati dell’economia, cioè quello che il governo spende e che non viene utilizzato per pagare le tasse, allora il governo può emettere titoli e obbligazioni ed indebitarsi con quella moneta. Cosa succede quando il governo vende quelle obbligazioni? La moneta che è presente presso la banca centrale si sposta in un altro conto presso la banca centrale e questa forma di risparmio viene chiamata BTP, CCT e così via, ma è la stessa moneta, e quando arriva la scadenza di quel BTP arriva la moneta per pagare le tasse. Quindi il deficit è quella parte della moneta che viene spesa da parte del governo ma non viene utilizzata per pagare le tasse e quindi resta sotto forma di risparmio, oppure può essere spesa in altri modi. 

Quando si dice di pagare il debito significa soltanto spostare la moneta da un conto presso la banca centrale ad un altro. Questo non è la stessa cosa quando un cittadino deve pagare un debito, per la semplice ragione che non è la sua banca, ma se l’UE avessero quella banca il pagamento del debito sarebbe soltanto un operazione di debito e credito. Ancora una volta notiamo che sono stati posti dei vincoli, ma non è una caratteristica naturale del sistema economico. Il debito pubblico totale non è altro che tutta quella parte di moneta nella quale nel corso del tempo è stata emessa dal governo e non utilizzata per pagare le tasse. Tecnicamente si chiamano riserve di contanti, di depositi sotto forma di conti correnti presso la banca centrale. Non esiste quello che si può definire ripagare tutto il debito per uno Stato, semplicemente la moneta sta lì in attesa che qualcuno la utilizzi per pagare le tasse. Il Giappone ha il debito più alto del mondo, più del 200% del PIL, ed il debito si trova lì presso i conti correnti in attesa che qualcuno ci paghi le tasse. Tutto questo corrisponde ai risparmi di una persona.

Il problema in questa economia è la disoccupazione. Quante persone ci sarebbero disoccupate se la disoccupazione fosse solo al 3%? Ovviamente nessuna. L’UE con questo parametro sarebbe in grandissimo successo, tutto il mondo vorrebbe entrarci, ma una disoccupazione al 12,2% non è per niente buono.

Dobbiamo conoscere che cos'è la disoccupazione e conoscerne le ragioni, ed una delle ragioni il deficit troppo basso. La moneta di fatto è uno strumento per fornire dei mezzi allo Stato. Il governo vuole che delle persone operano nel settore della sanità, vuole che lavorano per tutti i scopi pubblici che il governo si occupa. Quindi come si fa ad avere delle persone che lavorano per il governo. Potremmo avere delle associazioni di volontariato, molti ci hanno provato, ma non funziona. In Inghilterra si usava andare nei bar, di notte, per cercare di reclutare dei marine dandogli una botta in testa con una bottiglia, chi rimaneva sveglio entrava nella marina inglese. Oppure conquistare una nazione e prendere le persone come schiavi, un altra maniera di reclutamento, ma oggi facciamo finta di essere più civili. Tassiamo le persone in un mezzo che le persone non hanno e che può venire solo dal governo, quindi improvisamente in quella nazione hanno bisogno di quella moneta, nessuno aveva bisogno dell’euro fino al giorno prima che veniva introdotto. Non appena l’euro è stato messo in circolazione è diventato necessario per pagare le tasse, adesso tutti hanno bisogno dell’euro. Quando le persone hanno bisogno di denaro e cercano lavoro per guadagnarselo come lo chiamiamo? Disoccupazione. Disoccupazione non significa volontari presso un ospedale, le persone non cecano volontariato, cercano denaro. Se nessuno avesse bisogno del denaro non ci sarebbe disoccupazione. Quindi è la tassazione del governo è quello che causa il lavoro e quindi la disoccupazione. Il governo a questo punto può spendere i suoi pezzi di carta che altrimenti non avrebbero valore, ed assumere le persone che andranno a lavorare nel pubblico impiego che le tasse ha reso disoccupate. Se la tassazione non fosse seguita da una spesa che farebbe assumere tutte le persone disoccupate, qual’è il senso di questa manovra? Vuol dire che le tasse sono troppe elevate. Se il governo volesse assumere così poche persone, non dovrebbero portare le tasse ad un livello così elevato. Il governo dovrebbe fare due cose, o ridurre le tasse oppure assumere più persone. Come precedentemente accennato, ci sono due ragioni per cui le persone lavorano per la moneta pensando all’economia nel suo insieme non soltanto all’individuo. Perché adesso l’economia è preoccupata per la moneta, per la stessa ragione che quando il governo spende la sua moneta può essere usata per pagare le tasse o qualcuno la risparmia. Se nessuno risparmia quando le tasse devono essere pagate, il governo non può essere capace di spendere questa moneta. Quindi se il governo non spende abbastanza per soddisfare i desideri di risparmio del settore privato, significa che l’economia non ha abbastanza moneta per fare ciò che vuole fare. 

Ci sono per questo ancora persone che stanno cercando lavoro e non possono trovarlo, chiamandoli disoccupati. Come risolviamo questo problema? O assumiamo le persone che sono disoccupate oppure riduciamo le tasse. E’ semplicissimo, e ciò significa che entrambe le soluzioni aumenta il deficit. Quello che si asserisce è che la disoccupazione è sempre la prova che il deficit è troppo basso. Ovviamente ci sono anche altri problemi, ma il problema della disoccupazione deriva dal fatto che il deficit è troppo basso. 

Deficit troppo basso che introduce un altro punto. E’ il governo che ha imposto quella tassa e quindi creato quella disoccupazione, e’ il governo che non ha speso abbastanza moneta per assumere tutte le persone che stanno cercando un lavoro, questo è un risultato di una decisione deliberata della politica, non è una condizione naturale del sistema. Nelle società che non hanno la moneta che non hanno le tasse che non hanno il governo non esiste la disoccupazione, con un veloce esempio. Il Regno Unito ha invaso l’Africa, nel 1800, per espandere i suoi profitti, e non c’era un sistema monetario nel continente africano, come non esisteva nessuna disoccupazione. Tutti praticamente stavano aiutando il resto della società, con molta attività sociale. Gli uomini si preoccupavano di reperire cibo, cacciare, costruire capanne ecc, le donne si occupavano della casa e così via. In sostanza si aveva più cose da fare di quanto ci fossero persone e tempo per farle. Come sono riusciti gli inglesi a farli lavorare nelle piantagioni di caffè? Sono arrivati con questa idea geniale dicendo a tutti che ci sarebbe stata una tassa sulle abitazioni di ciascuno, tutti avrebbero dovuto pagare una tassa, ad esempio 10 pounds, o le loro case sarebbero state incendiate dagli inglesi. Tutti si sono chiesti, come facciamo ad avere questa moneta per pagare questa tassa. Beh! Se venite nelle nostre piantagioni di caffè vi pagheremo ad 1 pounds l’ora. In questo modo tutti sono andati a lavorare per evitare che le loro case fossero bruciate. 

Il sistema monetario e di tassazione quindi ha creato la disoccupazione, sono stati i britannici a dare quella moneta agli africani per avere sufficiente moneta per pagare le tasse. 

In questo caso gli inglesi hanno dovuto spendere quella moneta e poi avere indietro la tassa, e se nel caso gli inglesi avessero speso più di quanto avrebbero tassato gli africani avrebbero potuto risparmaiare. Ovviamente cosa avrebbero potuto fare, lavorare o aspettare che la loro casa venisse bruciata? Ovviamente sono andati a lavorare e magari anche risparmiare qualcosa. Se troppe persone chiedevano lavoro avrebbero ridotto la tassa, non rimandavano le persone a casa e poi gliela bruciavano, come invece stiamo facendo oggi nell’Unione Europea. 

Se io domani mattina cercassi di guidare l’Italia, state certi che non lo farò, manderei un ultimatum all’UE dicendogli “Allentate questo vincolo del deficit dal 3% ad almeno l’8% del PIL.” 

In questo modo l’Italia o può aumentare la sfera del settore pubblico, oppure ridurre le tasse, questo sarebbe interessante, ma non si può fare con l’euro, e vedremmo quanto la disoccupazione scenderebbe, per lo meno del 6%. Questo porterebbe le persone a capire come funziona l’economia creando ulteriori miglioramenti. Se l’UE dice “No”, cosa continuiamo a fare? Costringiamo le persone a tornare a casa bruciandogli anche la loro casa? In questo caso non ci sarebbe altra strada che uscire dall’eurozona e tornare ad una moneta sovrana. Comunque rimane un problema, se rimaniamo con la stessa leadership che abbiamo oggi cercando di pareggiare il nostro bilancio con la Lira non ci saranno abbastanza Lire per pagare le tasse e risparmiare e quindi il nuovo governo continuerebbe a bruciare case proprio come oggi, come si dice dalla padella alla brace 

Quindi è indispensabile avere dei leader come funziona la moneta e di avere come obiettivo la piena occupazione con la giusta dimensione del deficit che corrisponde alla piena occupazione evitando problemi di inflazione. Operativamente come si passa dall’Euro alla Lira? Seguiamo l’economista americano Warren Mosler. “Iniziamo cominciando a pagare le tasse con la Lira invece che in Euro. Questo significa che tutto lo Stato ha bisogno di Lire per pagare le tasse con la naturale conseguenza di richiesta di Lire. Come detto precedentemente tutti sarebbero disoccupati e tutti avrebbero bisogno della Lira. Il passaggio successivo è quello di pagare gli enti pubblici in Lire, lasciando i salari invariati pagando uno stipendio di 30.000 € all'anno per il governo, diventerebbe 30.000 £ all'anno, con un rapporto di fatto 1 a 1. Progressivamente incentivando in qualche modo le imprese a pagare i loro stipendi in £, perché se ci ricordiamo le imprese private non erano obbligate a pagare i loro stipendi in € al momento del passaggio da £ in €. Avendo rinominato tutte le tasse in €, comprese le loro e quelle dei loro dipendenti, sono stati costretti a pagare i stipendi in €. Tutta la monetizzazione del Paese in £ avverrà in maniera istantanea, con l’unico momento fissando il tasso di cambio 1 a 1 all'inizio del processo. I depositi bancari dovrebbero restare in €, se abbiamo dei soldi in banca nessuno li prenderà e li convertirà in £. Non siamo costretti a convertire i nostri depositi in £, se proprio vogliamo possiamo andare presso una banca, o un altro operatore di mercato, a farci cambiare la moneta ai prezzi di mercato sia di prestiti che di depositi. Tutti i depositi bancari in £ dovrebbero essere garantiti dal governo, ma non i depositi in €, questo perché il governo non crea gli € ma in £. 

Tutto ciò crea delle condizioni iniziali per far emergere una £ forte, con tutti che hanno bisogno della £ e non sarà facile ottenerla, la si può ottenere dei pagamenti dal governo, ma non tutti possono farlo, possiamo convertire i nostri conti in banca in £ rendendo forte la £ perché stiamo vendendo l’€ per comprare la £, consentendo al governo di fare la cosa opposta vendendo le £ alle persone che invece vogliono vendere gli € senza che il mercato causi una svalutazione della £. 

Per il prestito bancario, tenendo presente che le banche sono degli esseri molto pericolosi, abbiamo visto tutti cosa le banche possono fare se non vengono controllate, quanto siano difficili da regolare.

Molti di noi hanno visto quello che banche pubbliche possono fare senza un adeguato controllo, entrambe sono molto problematiche, ecco perché le banche debbono essere tenute un po alle strette, se abbiamo un cane pericoloso dobbiamo tenere il guinzaglio molto corto e non di un guinzaglio lungo. A questo punto come ci assicuriamo che le banche perseguono delle finalità pubbliche? Non c’è dubbio che tutte le banche siano delle istituzioni pubbliche, in un certo senso, tutti i depositi vengono garantiti dal governo regolando il sistema e che cosa fanno con quel denaro. Ad esempio loro possono effettuare delle operazioni creditizie, sappiamo che esse portano il rischio del deprezzamento dell’andamento di mercato, ma anche ai militari è concesso puntare i loro fucili, sono comunque dei soldati del governo, quindi le banche dovrebbero prestare soltanto in £, con gli scambi internazionali con valute estere diventano molto problematici quando li fa un istituzione pubblica. I prestiti bancari dovrebbero essere limitati alle finalità pubbliche e questo significa che non si può prestare indebitandosi contro dei collaterali delle attività finanziaria. Se qualcuno nel settore privato vuole farlo, può farlo, ma non le banche che invece devono garantire i depositi. La filosofia dietro il prestito bancario deve essere quella dell’analisi creditizia, dell’analisi del creditore e non quella della capitalizzazione di mercato. Il punto cruciale è che la regolazione dovrebbe dire alle banche cosa possono fare e non limitarsi a cosa non possono fare. 

Quando si chiede alle banche di non fare alcune cose, le banche trovano sempre un modo per farle. Da qualche parte del mondo si troverà sempre una branca del settore bancario che è stato proibito nel suo paese. Invece gli si dovrebbe dire “Potete fare questo e nient’altro”, questa è l’unica maniera dove si può controllare la loro attività. Occorre che i politici dovrebbero amministrare il loro Paese solo quando sono ben formati e documentati prima di dire alle banche che cosa possono o non possono fare”.